“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 18 September 2014 00:00

Una saga al crepuscolo: "Ritorno a Brideshead"

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Ritorno a Brideshead (Brideshead revisited) è un romanzo di Evelyn Waugh (Londra, 1903 – Taunton, 1966) scritto nel 1945.
La versione su cui mi sono basato è quella uscita nel 2009 per i tipi di Bompiani, collana “i Tascabili”, traduzione di Ottavio Fatica.
Dalla seconda decade del XX secolo inizia il declino dell’aristocrazia britannica.

Come classe economica, per vero, essa era già stata soppiantata dalla borghesia mercantile in forza d'un processo che, iniziato verso la fine del 1600 con un prudente "affiancamento" delle due, emergerà durante la prima rivoluzione industriale e si compirà definitivamente circa due secoli dopo, quando la cosiddetta “seconda rivoluzione industriale” e le sue fabbriche ridisegneranno l’organizzazione sociale.
Il Regno Unito, però, grazie al suo sistema monarchico-costituzionale di antica data (la Magna Charta può infatti essere vista come l'archetipo di questa forma di governo) ed al suo parlamento, dove la Camera Alta dei Lords trova un contrappeso naturale in quella dei Comuni, non conoscerà la sovversione violenta che fu sorte di altri Stati.
Se, dunque, economicamente gli aristocratici britannici già non erano più la classe eminente, rimase loro tuttavia il prestigio, per virtù del peculiare amalgama di progressismo ed attaccamento alla tradizione che è la cifra di quel Paese; ma, a cominciare dal 1920 circa, dopo la guerra civile irlandese, l'umiliazione della guerra boera e la sconfitta alle elezioni generali del 1906, questo prestigio si svuota lentamente di significato e, all’alba della seconda guerra mondiale, è ormai un guscio vuoto.
Siffatto ventennale inesorabile crepuscolo è il tema di fondo, la quinta del palcoscenico su cui si svolge la storia narrata in Ritorno a Brideshead.

PROLOGO

"Storia di un uomo che vide l'alba di Ragnarok indorare per l'ultima volta Aasgard. Scorse la luce riflettersi sulle corazze degli Asi, fiammeggiare sulla lama delle loro spade, infrangersi sui loro scudi ornati. Mentre stavano per precipitare definitivamente dalla cima di Yggdrasil verso l'oblio".
Così, forse, avrebbe epicamente trasformato la faccenda Charles Ryder, ovviamente dipingendo la scena, non raccontandola a parole.
Perché Charles è un giovane borghese, che studia ad Oxford, grazie ad un padre ricco, ed appena può mette mano ai pennelli; cosa, in fondo, non oltremodo interessante, se non ci trovassimo davanti al protagonista assoluto del libro. Ancorché, infatti, la prosa di Waugh ricorra spesso al discorso diretto, Charles è quasi sempre uno degli interlocutori: lui apre e chiude il sipario della narrazione e, sopra tutto, ogni personaggio che si elevi oltre la semplice caratterizzazione (comunque necessaria in un romanzo) si anima nel rapporto con lui.
O almeno così pare: perché, a dire il vero, spingendosi non molto dopo l'inizio, si avverte una presenza invisibile ed incombente, muta eppure ubiqua, come la gemella oscura di Sirio. Brideshead: maniero celato nelle forme non antiche (ma edificate con pietre vetuste) d'una villa di campagna, è in realtà una radice che affonda nel passato, attraversando i Windsor, i Sassonia-Coburgo-Gotha, gli Hannover, gli Stuart, i Tudor, i Plantageneti ed i Normanni, per attingere alle fonti di Edoardo III il Confessore, all'anima Anglosassone e cattolica dell'Inghilterra. Ma per comprendere il potere che Bridshead sprigiona, è necessario seguire le vicende di Charles e di coloro con cui venne in contatto.
Quando un'istituzione millenaria si spegne, abbaglia anche i suoi detrattori. Genera un desiderio di emulazione perfino in coloro che contribuiscono a spogliarla. Non avvenne per i barbari, alla fine dell'Impero romano d'Occidente? Non accadde che più di un re di queste tribù tentasse di imitare gli usi ed i costumi dell'impero?
Charles non fa eccezione: subisce il fascino della languente aristocrazia e tenta in ogni modo l'impossibile impresa di appartenervi. Si troverà aperte tre strade per "entrare a far parte", per varcare i cancelli di Brideshead, facendovi ingresso a pieno titolo: quella della simpatia, quella dell'affiliazione e quella dell'amore.
Nessuna lo porterà alla meta.

DRAMATIS PERSONAE

◆     Lord e Lady Marchmain, i padroni di Brideshead (anglicano lui, cattolica lei);

◆     "Bridey", il loro primogenito (cattolico);

◆    Sebastian, il secondogenito (teoricamente cattolico, ma ribelle ad ogni religione);

◆      Julia, la terzogenita (cattolica senza convinzione);

◆      Cordelia, la quartogenita (cattolica).1

 
LA STRADA DELLA SIMPATIA

Primo evento saliente, in ordine di tempo, è l'amicizia con Sebastian: immagine sacrificale del figliol prodigo restio a ritornare, seppur lo desideri intimamente, che grida nell'alcol e nel rifiuto d'ogni regola, prima tra tutte la religione, il suo orgoglioso ed umanissimo desiderio destinato ad orecchie sorde.
Per la verità, i due giovani si incontreranno in un momento in cui Charles ancora non conosce Brideshead, dando vita ad un'amicizia che presenta i caratteri voluttuosi di un'Arcadia fuori dal tempo (ammesso ne esista una nel tempo). Pomeriggi assolati a bere e parlare, a guardare il cielo, ignorando passato e futuro. Nel conseguente profondo e sessualmente ambiguo rapporto, Sebastian lotterà per tenere Charles lontano da Brideshead, ad evitargli di scoprire come laggiù venga considerato un "malato", sì, ma sopra tutto (è il rovescio della medaglia) al fine di scongiurare quanto indistintamente avverte: che la villa possa esercitare anche su Charles il suo potere oscuro.
Tuttavia, a dispetto degli sforzi di Sebastian, questo accadrà, e finirà per allontanare i due giovani, senza permettere a Charles di appartenere né al declino dorato di cui, in quella famiglia presa a simbolo dell'aristocrazia, Sebastian è un simbolo, né alle radici di Brideshead: paradossalmente, infatti, la separazione da Sebastian sarà vissuta da Lady Marchmain, matriarca indiscussa e fallita, come un tradimento di Charles.

LA STRADA DELL'AFFILIAZIONE

Una volta conosciuta Brideshead, occidente la stella di Sebastian, sorge tra le brume d'un'illusorio distacco emotivo quella dell'apparente padrona della villa:2 Lady Marchmain, appunto. Non a caso cattolica in un Paese che da secoli non lo è più, premurosa, per religioso adempimento, fino ad una tirannia mai eseguita sulle corde della costrizione, sibbene della pietà per gli esclusi, compresi quelli della sua famiglia (il che è a dire tutti, tranne l'anodino primogenito e Cordelia), Lady Marchmain sorprendentemente susciterà le seppur altalenanti simpatie di Charles; ed ancor più sorprendentemente troverà il postulante simpatico, almeno fino a quando la fine del rapporto con Sebastian non costringerà a scoprire le carte: come per Charles (sempre inconsciamente) Sebastian fu uno strumento, così lo fu Charles per Lady Marchmain, speranzosa nella possibilità che questi riuscisse a "redimere" il figlio.
Anche dopo, tuttavia, fino alla morte di lei, tra i due rimarrà, dietro ai silenzi dell'uno ed alle lettere ed i discorsi dell'altra, una forma di comprensione; nondimeno, avanti che l'ineluttabilità casuale della dipartita, sarà la separazione tra Charles e Sebastian a rendere impraticabile anche questa strada verso il cuore di Brideshead, alienando al protagonista umano ogni possibilità di allacciare un rapporto paritario con la nobildonna; però si intenda: il tradimento di cui parlavo sopra, il tradimento che Lady Marchmain scorgerà nell'allontanarsi affettivo dei due giovani, ella non lo imputerà a colpa di Charles; lo vedrà (forse per prima distintamente) come l'avverarsi d'una volontà avversa anche ai proprii progetti. Per questo si potrebbe dire che quella impossibilità di un rapporto paritario è ostentata e contemporaneamente sofferta dalla matriarca.

LA STRADA DELL'AMORE

L'attrazione di Charles per Julia era nata al tempo in cui Charles e Sebastian erano ancora grandi amici; probabilmente nel perielio di quell'amicizia: quando i due si erano recati, assieme a Julia, in visita a Venezia presso Lord Marchmain. Sebastian ne fu anche un po' geloso, ma la cosa al momento non ebbe sviluppi.
Con Sebastian ormai lontano, in un monastero tunisino, e morta Lady Marchmain, finalmente l'amore tra Charles e Julia sboccia.
Si potrebbe riassumere la storia molto brevemente. Julia, formalmente cattolica, ma sostanzialmente disinteressata alla religione, si era sposata secondo il rito anglicano3 con un industriale petrolifero canadese, da cui s'era poi separata; anche Charles aveva preso moglie e s'era separato. Riconoscendo il fuoco dell'antica fiamma, divennero amanti e progettarono di divorziare dai rispettivi coniugi per convolare a nozze. Charles divorziò, Julia no: a malincuore rinunciò a Charles e la faccenda finì lì.
Questa narrazione scarna non toglierebbe una virgola alla sostanza del loro rapporto, se non fosse che la ragione del ritrarsi di Julia avrà un significato fondamentale per comprendere la fine del romanzo. Ma per parlarne, debbo aprire una parentesi su Lord Marchmain.
Di lui si legge poco, nel romanzo, e quasi sempre de relato. Solo in due occasioni il lettore lo "incontra": durante il viaggio a Venezia, di cui dicevo, e nei giorni del suo ritorno a Brideshead: poco prima della sua morte.
Anglicano, innamoratosi della futura moglie, essendo costei cattolica, apostatizzò per il cattolicesimo. Dal matrimonio nacquero i quattro figli, poi il rapporto si spense; Lord Marchmain tornò all'anglicanesimo e se ne andò a Venezia, dove visse con una donna di là: a suo modo aveva compreso il declino dell'aristocrazia e scelse di viverlo appieno nella città che è il simbolo del declino eterno. Ciò non di meno, quando si rese conto di essere prossimo alla fine, ritornò a Brideshead ove, proprio sul punto di spirare, si riconvertì al cattolicesimo (la cosa è dubbia: la narrazione affida tutto ad un semplice gesto di croce, ma i suoi familiari lo interpretarono così, e questo è quel che conta, come vedremo).
La sua scarna presenza narrativa è però compensata dall'importanza cardinale che riveste. Intanto, è proprio quel segno di croce che indurrà Julia ad abbandonare i progetti d'amore fatti con Charles. La riconversione del padre provocherà in lei una sorta di rigurgito di confusi sentimenti religiosi che la porteranno a considerare "peccaminoso" il matrimonio col protagonista.
Ma perchè paccaminoso? È un concetto strano per una donna fino ad allora disinteressata alla religione, al punto di accettare di sposare l'industriale canadese secondo il rito di una fede (quella anglicana) diversa da quella a cui formalmente appartiene (quella cattolica).
La chiave di questo enigma, per modesto che sia, va cercata in un frase pronunciata da Cordelia durante un dialogo con Charles: "Sai che cosa ha detto papà quando è diventato cattolico? Una volta mamma me lo ha raccontato. Le ha detto: 'Hai riportato la mia famiglia alla fede dei suoi avi'".
Il cattolicesimo, nel romanzo, è qualcosa di più di una religione: è un collegamento con gli Avi, ed in particolare con Edoardo III il Confessore, ultimo re anglosassone e primo re d'Inghilterra, santo della chiesa cattolica. Su questa immagine della religione come appartenenza (ad un lignaggio, prima che ad una Nazione) torneremo più diffusamente in seguito. Qui importa notare come la riconversione in extremis di Lord Marchmain abbia una forza potente su Julia, probabilmente proprio perché le appare non solo un ripensamento (alquanto tardivo e discutibile, invero) della vita, ma anche – e forse sopra tutto – perché sancisce una riconciliazione con gli Avi.
Alla donna che aveva accettato un matrimonio anglicano per un'unione di comodo e che aveva tradito il marito, il segno di croce del padre sul letto di morte deve aver risvegliato l'orgoglio della propria eredità plurisecolare, mettendo al bando l'idea di nuovi sponsali con il protagonista, vuoi perchè contrarii alla morale di quel cattolicesimo-lignaggio, vuoi perchè, pur con tutti i distinguo dall'ex marito, anche Charles non "apparteneva".

EPILOGO I

"Ma come? Già la fine? E il 'personaggio' Brideshead, che pareva tanto importante? E poi perchè “Epilogo I'? La presenza di più di un epilogo non è forse una negazione del concetto di epilogo?".
Molti lettori tralasciano la prefazione dell'autore; in questo caso essa è invece fondamentale, costituendo la fine della storia. Due pagine scarse, scritte nel 1959 per confessare d'aver sbagliato completamente le previsioni. Se alla soglia della II guerra mondiale tutto faceva presagire la fine prossima ventura dell'aristocrazia britannica, anche nel residuale ruolo di lapide a perenne memoria del prestigio e del fascino di una civiltà, non la più antica, né la più omogenea d'Europa, ma senz'altro quella che per più tempo – salvo qualche scossone – si è mantenuta fedele ad un modello sociale (siglato nella brughiera di Runnymede quasi ottocento anni prima), tre lustri dopo l'autore constata come la Storia non sia una scienza esatta, dall'esito prevedibile: la nobiltà del Regno Unito era ancora lì (e vi è tutt'ora) – non avvertibile, forse, dagli stranieri, ma irrinunciabile connotato dell'identità nazionale per gli Inglesi.
Sebastian, Julia, Lord Marchmain, ma soprattutto Charles (il quale, ormai dovrebbe essersi capito, altri non è che l'identità del narratore nella realtà del narratum) sono stati dunque tutti vittima di un ironico errore di parallasse? "Oh degl'intenti umani. Antiveder bugiardo!": credendo inesorabile la discesa dell'aristocrazia nell'oblio ed il subentro della borghesia industriale (rispettivamente simbolo del Bello e del Triviale, per quello sfasato di Charles), ognuno di loro ha cercato di mutare per sopravvivere, chi abbracciando con voluttuosa decadenza la sorte, chi sfuggendole, ed ognuno a suo modo ha fallito: Sebastian non è riuscito ad essere accettato dalla propria famiglia, Julia a divenire una borghese, Charles (specularmente) un aristocratico, Lord Marchmain un fedele sincero; alla fine il sigillo è il fallimento della mutazione, di cui Lady Marchmain, con la sua integrità formale che si specchia nel tradimento dei propri ideali, è il paradigma.
Se questa fosse la chiave di lettura, allora Ritorno a Brideshead sarebbe una sconsolata esaltazione dell'imprigionamento: dal sé deterministicamente impresso nel ruolo che la Storia ci affibbia, non è data via di fuga. E il "personaggio" Brideshead sarebbe relegato alla marginale funzione di muto testimone.
Tuttavia la prefazione inizia con un'epigrafe solo apparentemente enigmatica: "Io non sono io; tu non sei lui né lei; loro non sono loro", la quale introduce un'altra possibile chiave di lettura. Lo sradicamento e l'alienazione. Vediamo perché.

EPILOGO II

Ritorno a Brideshead è stato considerato da un discreto numero di "critici" un romanzo sulla religione, il che è comprensibile: l'autore fu soggetto ad una conversione e la religione, all'interno del romanzo, nel suo aspetto dialettico tra negazione ed affermazione, nel suo confronto sostanzialmente sterile tra diverse confessioni, e perfino nella dimensione dell'incoerenza tra professato e vissuto, ha un ruolo eminente, sotto il profilo quantitativo.
Credo però che ciò sia dovuto, non tanto al valore esistenziale dell'esperienza religiosa (che pure deve essere molto forte, per un neofita, quale si può dire essere stato Waugh), quanto al suo costituire la metafora per antonomasia: c'è un aspetto della vita che non possa essere reso metaforicamente attraverso la religione?
Anche perchè la vita, sempre, ma soprattutto quando si dipana, come per la maggior parte di noi, tra il tormento dei "maledetti" (genii o meno che siano) e l'estasi delle "grandi anime" (due condizioni peraltro perennemente a rischio di tramutarsi alchemicamente l'una nell'altra); quando scorre sulla corrente – non placida: no; ma sufficientemente tranquilla – della quotidianità, trova nella religione (non solo in essa, beninteso, ma soprattutto in essa) lo strumento di riscatto dall'essere congiuntura, episodio fin che si vuole interessante eppur necessario mai: vi trova una forma, uno stampo, entro cui versare la propria materia secolare (in senso latino) perchè sia elevata al Piano del Mito (individuale, certo, eppur sempre Mito).
Così, le vicende dei personaggi di Ritorno a Brideshead – del Sebastian desideroso di essere accolto per quel che è da una famiglia la quale egli ben sa non capace di accoglierlo (se non "disinnescandolo" con l'assegnarli il "ruolo" del malato – che ovviamente è per lui inaccettabile); della Julia dalla religiosità ondivaga e dai sensi accesi (seppur non abbastanza per affinare quella nel loro fuoco), perspicace a sufficienza da comprendere come il futuro sia dei capitalisti borghesi, industriosi e incolti, ma incapace di resistere alla passione per Charles (che sempre borghese è, però sui generis, vuoi per cultura, vuoi per tensione verso la bellezza, vuoi per quel suo desiderio di cui diremo presto – tratti bastanti a mostrarlo ai suoi occhi, per qualche tempo almeno, unico emaciato riflesso e spettro della moribonda aristocrazia a cui lei stessa appartiene, e, per questo, unico amore im-possibile); di Lady Marchmain e del suo paradosso, per cui è lo stesso spirito integralista con cui vive la propria religione ad obbligarla ad una tolleranza ipocrita, ed a segnare la rovina di tutte le sue ambizioni di donna, di madre e di fedele devota; di Lord Marchmain, uomo di sentimento e d'intelletto sviluppati, seppure non al punto da renderlo saldo nelle sue scelte, sempre solidamente motivate, e sempre velleitarie; di Charles, che – questo il desiderio a cui accennavamo – vorrebbe entrare a far parte della Tavola Rotonda bridesheadiana e ne viene sistematicamente respinto (parodia della titanica lotta contro lo Zeitgeist) – così, si diceva, queste vicende, interessanti forse ma certo non tra le più singolari o paradigmatiche della letteratura (nemmeno quella degli anni '20), invece d'essere alcune delle molte facce della paralisi esistenziale indotta dai conflitti interiori, ricevono dall'elemento religioso la dignità d'una stasi drammatica, sotto la quale gli opposti combattono una guerra eterna, il cui ardore infiamma i personaggi, ed i contesti su cui si staglia la loro saga, d'una luce da Crepuscolo degli Déi.
Ma ancor più che questo (come percepirà Charles – l'unico a dover attendere la fine del romanzo per "incontrare" a suo modo la religione), essenza dell'opera mitopoietica della "forma" religiosa è lo stabilire un nesso, un ponte che scavalca i secoli e, proprio nell'ora del declino, salva l'uomo dall'oblio, se non dal precipizio, riconducendo il significato della vita individuale alla Storia; ad una Storia che è storia di pietre e di tombe.4 Perché cos'è una religione se non un magnificare la traditio, la continuità col passato (anche nel suo più o meno cosciente alterare i testi)? Per ciò Sebastian, Julia, Lady e Lord Marchmain divengono ben più che volti e momenti (fulgidi ed intensi, forse, ma sempre e solo volti e momenti) nella vita di Charles proprio quando, tornando a Brideshead (od a ciò che ne resta), egli pure si "ricongiunge agli avi" nell'unico modo possibile: col gesto religioso forse più antico del mondo, e cioè l'accensione del fuoco.
In questa chiave di lettura, Ritorno a Brideshead è dunque essenzialmente il racconto di persone in cerca di radici e di come la quest possa avere successo solo nell'accettazione del cattolicesimo quale, in Inghilterra, religione degli avi, radice delle radici; ma non è davvero un racconto sulla religione perché non si diviene imperituri abbracciando il credo degli avi; semplicemente quel credo è l'unico strumento rimasto per ricongiungersi ad essi.
In questa visione, Brideshead, proprio nelle ultime pagine, getta il manto d'ombra e si svela come cifra della narrazione: le sue antiche pietre "sono" gli Avi, la sua forma una mera contingenza. In essa è il principio e la fine del romanzo ("In my end is my beginning"); anzi, è la vera voce narrante, che crea e disfa le singole storie individuali secondo tale ciclico mot(t)o. Ma l'unico a rendersene conto, ed a tributarle l'onore dovuto; l'unico a ricongiungersi davvero, pur in modo singolare e personalissimo, agli Avi, è proprio Charles, che non ha più né casa, né figli, né amore; ma ha trovato le proprie radici.



1) La ragione per cui ho specificato molto grossolanamente la fede di ognuno, sarà chiara in seguito; per completezza è bene aggiungere che Charles, pur di origini anglicane, mostrerà sino alla fine un fastidio profondo per la religione.

2) Quando Charles entrerà a Brideshead, Lord Marchmain ha già abbandonato la moglie ed i figli; l'aggettivo "apparente" allude al fatto che i veri padroni sono altri, e sono morti da moltissimo tempo. Ma su questo tornerò in seguito.

3) La stranezza si spiega col fatto che il futuro marito, cattolico, era divorziato, sicché un altro matrimonio cattolico non sarebbe stato possibile.

4) Si noti il parallelismo con la struttura fisica di Brideshead, una villa di campagna apparentemente d'epoca vittoriana, quindi relativamente recente, ma, come si diceva, edificata con pietre antiche. (L'esatta datazione della villa non è ricavabile dal testo, se non indirettamente; nel Prologo, temporalmente situato durante la II guerra mondiale, si dice che il parco era stato "ideato e piantato un secolo e mezzo prima": intorno al 1800, quindi; poiché è verosimile che l'ideazione del parco – elemento fondamentale delle ville di campagna dell'aristocrazia inglese – fosse più o meno contemporaneo all'edificazione della villa stessa, Brideshead sarebbe databile in un periodo a cavallo tra il tardo neoclassicismo e lo stile vittoriano; pare però eccessivo dare tanto significato ad una frase volutamente approssimativa).


 

Evelyn Waugh
Ritorno a Brideshead (1945)
traduzione Ottavio Fatica
Milano, Bompiani, 2009
pp. 376

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