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Pochi film hanno la capacità di concentrare in una singola scena, solitamente detta “scena madre”, il loro senso più intimo e profondo. Uno di questi è sicuramenteToro scatenato, film diretto da Martin Scorsese nel 1980 e basato sull’autobiografia del grande peso medio italo-americano Jake La Motta. E pensare che il film deve la sua nascita al sorprendente successo di un altro grande film sul pugilato, Rocky, scritto ed interpretato nel 1976 da Sylvester Stallone, nascente stella del panorama hollywoodiano. Senza l’enorme impatto mediatico del fenomeno Rocky Balboa l’opera di Scorsese non sarebbe mai stata prodotta. I parallelismi tra il film di Scorsese e Rocky sono, tra l’altro, interessanti ai fini della nostra trattazione. Entrambi i personaggi sono figure del basso proletariato, di quelle che si arrabattano, oltre che per un tozzo di pane, per conquistare un briciolo di dignità che consenta loro di poter camminare a testa alta e prendersi una rivincita verso la società che li ha emarginati. Entrambi saranno protagonisti di un sacrificio fisico che ha tutti i connotati del martirio, usando, tra l’altro, quella che è la simbologia cristiana della sofferenza.
- Racing Bull
- Toro Scatenato
- Retrovisioni
- Daniele Magliuolo
- Martin Scorsese
- Robert De Niro
- Joe Pesci
- Jake La Motta
- London
- Hemingway
- Lumière
- Rocky
- Sylvester Stallone
- Rocky Balboa
- Cristo
- Barry Lyndon
- Kubrick
- Marcel Cerdan
- Lassù qualcuno mi ama
- Sugar Ray Robinson
- Joe Louis
- Muhammad Ali
- Ferruccio Amendola
Forme figure dimensioni. Sol LeWitt al MADRE
Written by Delio SalottoloPer puro caso, per sbadataggine, per stanchezza o per chissà quale motivo, abbiamo cominciato la visita di questa mostra dalla fine, anche se, a scoprire che era la fine, c’è bastato veramente poco, la lettura di uno dei pannelli informativi, e così dopo aver ammirato dei wall drawings del 2012 (l’artista è morto nel 2007 – una sorta di realizzazione post mortem per l’artista che riteneva che a essere più importante fosse l’idea, non la realizzazione), formati da cupi e ritorti segni di matita che dialogando con la parete creano violenta ma fredda densità pur lasciando trasparire squarci di luce, ci siamo immersi nell’esperienza di vita e pittorica di Sol LeWitt o, per meglio dire, ci siamo immersi nella sua esperienza di ricerca e di studio.
“I nostri tribunali non cercano la colpa, sono attratti dalla colpa”. Ma qual è il tribunale che perseguita Josef K.? Chi risiede al vertice di questa piramide ordalica che pare aver emesso sentenza inappellabile (e caliginosa) prima ancora di qualsivoglia istruttoria?
Inutile affannarsi ad imbrattar risposte, ad imbastir ragionamenti sul filo della logica, a meno che per logica non si voglia assumere quella che, con l’aggettivo “kafkiano” apposto di fianco, assume di per sé i connotati tipici dell’ossimoro.
Selene, alma Cerere, Artemide e Proserpina, Cibale, Pessinunzia. Poi Ecate, Minerva, Venere Cipria, Venere Pafia, Venere Celeste e Bellona, Ramnusia, Iside e Giunone, Persefone e Trivia, Lucina, Diana. Mille e mille nomi di mille e mille dee ha la Luna perché mille e mille volti mostra in mille e mille notti.
L’incantesimo è finito, finita è La tempesta. Prospero, con al fianco Alonso, guida la nave intatta che fa ritorno verso Napoli. Ariel s’è disperso tra le nuvole, Miranda e Ferdinando si tengono per mano, a prua, sotto il tetto delle stelle. Spariti – come attori alla fine di uno spettacolo – sono Gonzalo e Sebastiano; Adriano, Francesco e Stefano; Trìnculo, i marinai e gli spettri che hanno fatto comparsa breve: Iride, Cerere, Giunone, le ninfe e i mietitori. “Col vostro potere, non lasciatemi in quest’isola brulla, ma piuttosto liberatemi voi con l’aiuto buono delle vostre mani. Il vostro fiato gentile rigonfi le mie vele” ha implorato Prospero, accontentato dal suo pubblico. Cos’è che rimane allora, cos’è che rimane ancora su quest’isola che non è un'isola ma un assito con sipario ma senza quinte e che ha per magnifico fondale la platea di un teatro intero? Cos’è che resta, quando non resta La tempesta?
Lunedì sera, ore 20. Va in onda, come di consueto, il telegiornale curato dallo stimato giornalista inglese Michael Palin.
“Good evening. The Prime Minister, John Cleese …”
Città distrutte. Sei biografie infedeli, di Davide Orecchio, si presenta in copertina con il capo di un palazzo in fase di declino mentre accanto, con moto leggerissimo, s'alza il bianco di una mongolfiera. Qualcosa crolla e, crollando, è destinato a farsi polvere e macerie e poi assenza e ricordo sbiadito e più sbiadito ancora mentre – nel contempo – dallo stesso luogo in cui avviene questa frana, che sa d'irrimediabile scomparsa fisica, altro si solleva: una nuova vita forse, forse la stessa vita ma con altra forma, volubile ed ariosa.
Nel 1940 i De Filippo allestirono la prima rappresentazione teatrale di Non ti pago, commedia in tre atti scritta da Eduardo quello stesso anno. Nel ‘42 il regista cinematografico Carlo Ludovico Bragaglia ne proponeva una versione per il grande schermo, ma è nel ‘64, con la trasposizione televisiva per la RAI , che l’opera acquista tutto il suo enorme valore fino ad allora solo potenziale ed è a questa che lo scritto in questione fa riferimento.
7. “F, ma sei veramente tu?”
Fu così che il piccolo signor F, dopo aver attentamente scrutato l’orologio – un vecchio ma affascinante Citizen, trovato sulla bancarella di un vecchio incartapecorito che sopravvive vendendo cianfrusaglie a volte di discreto valore e che pronuncia il nome della famosa casa produttrice più o meno così: “Cittizzè”, un orologio che aveva il brutto vizio di guadagnare minuti su minuti fino a far perdere la cognizione dell’ora esatta – decise di intrattenersi ancora un po’ in giro, “del resto” pensava “questi sono i vantaggi di non avere nessuno a cui rendere conto” e, un po’ come dimorando nel suo alibi preferito, riteneva, ridacchiando fra sé e arcuando lievemente quel sopracciglio i cui movimenti erano stati da lui analizzati a fondo, che era fortunato a non avere una compagna perché, se mai l’avesse avuta, di lì a poco già lo starebbe tempestando di chiamate, magari poi, una volta tornato a casa, avrebbero litigato urlando feroci offese, lui si sarebbe sicuramente innervosito e sarebbe corso di filato in bagno come gli capita sempre e molto probabilmente non avrebbe dormito serenamente, proprio stanotte che domani ha il famoso concorsone.
La (multi)sala Assoli accoglie il suo pubblico variopinto e blasonato per la trasposizione in napoletano di Plou a Barcelona di Pau Mirò. Scena articolata, eppure essenziale, in cui ogni dettaglio, ovviamente studiato nella sua apparente casualità, suggerisce già un odore, un suono, un’atmosfera. Sullo sfondo vetri riparati con lo scotch da pacchi, un piccolo frigorifero di modello antiquato, una tenda volgarmente colorata e intessuta di paillettes. In primo piano il letto, rosa con i cuscini di raso rosa fucsia, un comodino sgangherato, una poltrona sbilenca e rattoppata.