“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Daniele Magliuolo

Surreali dell'entusiasmo

‘È con immenso dispiacere che oggi riprendiamo un’antica diretta, quella del dolore. È infatti da poco venuta a mancare la figlia del nostro amato supervisore ai dialoghi, il tanto stimato dottor George Buchman, il quale ha anche deciso di abbandonarci per andare a morire nella sua casa in montagna, abbiamo quindi pensato di aprire con un suo breve commiato questa nuova edizione de Essere, ente e dirette tv, così per ricordarvi che in fondo la vita è sempre, comunque vada, una schifosissima valle di lacrime e che non dovete mai permettere che una bella giornata possa rovinare la vostra miserevole e triste esistenza’.

Sono dietro di te (parte 13 – finale)

Le giornate a casa con lei passarono piacevoli, ma io non riuscivo a smettere di pensare alla scelta che dovevo fare. Me l’ero messo in testa. Era passata qualche settimana dal mio ultimo delitto e iniziavo a desiderarne un altro. A lavoro ripresi a guardarmi un po’ intorno, ma pensai che sarebbe stato estremamente stupido uccidere un altro paziente della stessa struttura. A quel punto tanto valeva ammazzare direttamente Barbara.

Sono dietro di te (parte 12)

Al gong del primo round Marco è visibilmente gasato e cerca di coinvolgermi ragguagliandomi su dati e statistiche riguardanti i due pugili. Intanto sul ring il ritmo è sostenuto. È lo sfidante che avanza, il campione gli gira intorno tenendo il centro del ring come punto di riferimento per non farsi schiacciare alle corde. Crasti prova a colpirlo ai fianchi un paio di volte, Catalano si copre bene e lo tiene a distanza con il jab che va parzialmente a segno senza però incidere. Il primo round si conclude con un sostanziale equilibrio (secondo Marco a favore del campione), diciamo uno di quei classici round detti “di studio”.

Sono dietro di te (parte 11)

CAPITOLO 10

Erano trascorsi ormai alcuni mesi da quando io e Barbara ci eravamo messi insieme. In tutto questo tempo era stata a casa mia al massimo una decina di volte e mai per un’intera notte. Preferivo dormire da lei, non avevo niente da nascondere tra le mie mura, ma sinceramente non mi sentivo a mio agio con lei nei miei spazi intimi. Alla fine però me lo chiese. Era un mattino di pioggia e vento, eravamo entrambi di riposo.

Sono dietro di te (parte 10)

CAPITOLO 9


Circa una settimana più tardi arrivò anche a lavoro la notizia della morte di Margherita. I giornali nazionali non ne avevano parlato, né ovviamente le televisioni. Certo, i telegiornali locali, così come i quotidiani, avrebbero sicuramente dettagliato i fatti di sangue avvenuti in paese, sia della vecchietta che della bella donna collegando quasi sicuramente i i due delitti, ma stranamente, come dicevo, per almeno una settimana non ne sentii parlare, poi, in qualche modo, ne vennero tutti a conoscenza. Ne parlai con Barbara, era sconvolta. Non riusciva a crederci. “Era una vecchietta così buona, dolce. Che razza di bastardo, malato mentale, può averle fatto questo!”.

Sono dietro di te (parte 9)

CAPITOLO 8

 

Nonostante ne sia l’autore, io per primo non so dirmi come sia finita questa storia. È ovvio che Susy di li a poco sarebbe diventata cadavere, ma non è questo quel che conta. Insomma, alla fine Vlad soddisferà il suo bisogno di sesso (o amore) oppure si limiterà a dissanguarla? Certo, ho lasciato degli indizi per strada e tutto sommato il finale può dare una risposta, ma rimane comunque opinabile, credo. Ad ogni modo, per adesso tutto questo non è importante, mi soffermerei per un attimo invece sull’altra questione sollevata dal mio breve racconto ed è per questo motivo infatti che mi ritornò in mente proprio in quel momento, nel bagno di Margherita, ossia: il bisogno di uccidere. In parole povere, già da bambino paragonavo l’assassinio seriale ad un atto di sopravvivenza. Johnny Vlad uccide per vivere. Tutto sommato non prova nemmeno godimento nel farlo, è dissetarsi, anzi pare quasi se ne dispiaccia, tanto che confessa la sua condizione con amarezza. Dunque? “Adesso basta” mi dissi, “non affliggerti oltre, Giovanni!”.

Sono dietro di te (parte 8)

CAPITOLO 7

Era passata una settimana dalle dimissioni di Margherita, pochino per andarla a trovare, ma pensai che era buona cosa farle almeno una telefonata. Fu molto contenta, mi disse che si sentiva un po’ sola. Era sempre sola. Il figlio passava a trovarla un paio di volte alla settimana 15 minuti per portarle cose varie, tipo alimenti, medicine e altro. “Ma non sta mai un po’ con lei a farle compagnia?” le chiesi io, mi rispose che la domenica passava a prenderla per pranzo per portarla dalla sua famiglia e lì, con il figlio, i nipotini e il cagnolino, si sentiva finalmente felice. Mi invitò a prendere un caffè, mi chiese di Barbara ovviamente. Le dissi che era in turno (era vero) e che se le faceva piacere sarei passato volentieri a farle un saluto da vicino. Cosi mi feci dare l’indirizzo e mi misi in cammino.

Sono dietro di te (parte 7)

CAPITOLO 6

Era passato dunque un mese circa dal mio primo appuntamento con la collega. Ripensandoci, le preoccupazioni che avevo avuto quando arrivò il primo giorno in ospedale mi facevano sorridere, avevo subito un periodo di paranoia che fortunatamente era stato brillantemente superato. Margherita intanto era stata dimessa. Il giorno delle sue dimissioni Barbara non era in turno, si dovette accontentare di salutarla la sera precedente, io invece ero li e ne approfittai per scambiare con lei un affettuoso abbraccio, nel mentre del quale la vecchietta mi sussurrò: “Stalle vicino, è una ragazza che ha sofferto tanto”, ed io prontamente: “Grazie di tutto Margherita. Se le farà piacere verremo a trovarla presto a casa” – “Questo è il mio numero”, prese un fogliettino ed una penna dalla sua vecchia borsetta ed iniziò a scrivere, “chiamatemi e preparerò un bel the”. La accompagnai all’uscita del reparto dove c’erano i parenti ad aspettarla.

Sono dietro di te (parte 6)

CAPITOLO 5

Quella sera ci incontrammo in centro. Nordavalle è un piccolo paesino che conta solo 15 mila abitanti, ma c’è un po’ di tutto, e soprattutto degli ottimi bar che, dato il freddo invernale, elargiscono con generosità bevande super alcooliche a pochi spiccioli. Barbara esordì immediata: “Voglio bere”. Andammo a “La caverna del mastro birraio” e, sedutici su queste vistose panche di legno massiccio, ordinammo un paio di birre. “E così vieni dal sud” le dissi, “Sì. Da Pescatratta. Sai com’è, lì non c’è molto per programmarsi il futuro e poi dovevo andar via per quella brutta storia. Ma stasera non voglio parlare di cose tristi. Raccontami un po’ di te” e spalancò di nuovo il suo sorriso. “Io sono sempre vissuto qui nella noia più completa e quindi non c’è molto da dire. Dopo il diploma ho fatto qualche lavoretto saltuario per poi specializzarmi come infermiere ed eccomi qua ad aspettare la svolta.” – “Mmm, mi interessa particolarmente la svolta, potresti averla trovata” fece lei ammiccante, “diciamo che ci sto lavorando” le risposi sorridente.

Sono dietro di te (parte 5)

CAPITOLO 4

Ero ormai a lavoro da 3 mesi, ben voluto da colleghi e pazienti. Sempre gentile e disponibile con tutti. Pronto anche a rinunciare ai meritati riposi dopo una lunga settimana di lavoro, infatti più volte avevo chiesto un turno extra per migliorarmi il prima possibile e soprattutto per avere più contatto con gli ammalati. Il mio era un classico reparto di degenza. I pazienti venivano a recuperare la forma ed a seguire la terapia dopo un intervento fatto al piano di sopra dove c’era l’appariscente sala operatoria. Una mega stanza, ramificata in varie piccole altre stanze adibite per diversi utilizzi, con le più sofisticate attrezzature in campo medico e chirurgico. Ci passavo ogni giorno per accompagnare o riprendere i pazienti. Una volta poi dovetti sostituire una collega addetta alla pulizia e sterilizzazione degli strumenti operatori. Niente di straordinario, si trattava di togliere i pezzi di ossa che gli erano rimasti appiccicati, misti a sangue, carne e cianfrusaglie varie. Niente che non avessi già fatto per conto mio nel tempo libero, diciamo cosi. Insomma, tutto stava andando nel migliore dei modi fino a che non arrivò la nuova collega. Si chiamava, come detto, Barbara, 26 anni, strana. La sua stranezza era data dal fatto che sembrava nascondere qualcosa.

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