“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Alessandro Toppi

Perché, ad esempio, noi non siamo stati pagati?

Uno spettacolo
Nel 2010 – nell'ambito del Napoli Teatro Festival Italia – va in scena Delitto e castigo (Dostoevskij ai Quartieri Spagnoli), per la drammaturgia e regia di Gaetano Ventriglia e Silvia Garbuggino. Sette attori – compresa “la piccola Arianna Boccamiello” –, due musicisti per una colonna sonora eseguita dal vivo, con la traduzione di Giorgio Kraiski. “Produzione Napoli Teatro Festival Italia” recita la brochure aggiungendo, subito dopo: “Produzione esecutiva Nuovo Teatro Nuovo Stabile di Innovazione”.

Teatro Pubblico Campano, ovvero: il sistema-Balsamo

una citazione
“La Regione punta alla permanenza degli eventi e alle manifestazioni che producono lavoro. Alcuni eventi” invece “scivolano sul piano dell’abitudine al finanziamento”. Dunque “pretenderemo di capire come vengono utilizzati i soldi pubblici fino all’ultimo centesimo” perché “non esistono” né possono esistere “bilanci non trasparenti”. “Premieremo” insomma “la qualità e la trasparenza dei progetti: chi porta un progetto di qualità sarà premiato”.
Infine, affinché sia chiaro: “Eviteremo che certi responsabili di sezioni artistiche guardino più al loro sistema di relazioni che alla qualità”. Quindi: “lavorate e non cercate un padrino politico, perché non ce ne sono più”; “basta portare registi e produttori amici”, “non ci saranno zone franche per nessuno”.
Firmato: Vincenzo De Luca (Corriere del Mezzogiorno, 3 agosto 2016) 

Cercando teatro, scoprendo l'umano

Il teatro è poesia che esce da un libro per farsi umana
(Federico García Lorca)

La vita è l'origine non rappresentabile della rappresentazione
(
Jacques Derrida)

Così inventammo, tentammo, esplorammo, discutemmo
(Peter Brook)

 

In un giorno di marzo del 2015 – subito dopo un esercizio di training, per un motivo che ignoro – Fortuna cerca la mano di Tonia. Le dita dell'una scivolano nel palmo della mano dell'altra. Stanno in piedi, le braccia lungo i fianchi, in linea con le altre: il gesto è naturale, avviene furtivo e dura un paio di minuti. Accanto hanno una ventina di attrici, d'avanti due registe: sono a Piazzetta Forcella, in questo luogo non teatrale in cui si comincia a pensare a uno spettacolo che è la ragione di una tre giorni di laboratorio ed è un'idea, una prospettiva, una meta per la quale non c'è ancora né tragitto né direzione. Fortuna e Tonia compiono questo gesto segreto poi rafforzandolo: le due mani si tengono, si stringono, diventano una cosa sola, prima di sciogliersi perché c'è da riprendere a lavorare.

Un Napoli Teatro Festival (quasi) tutto per noi

In queste condizioni né gli attori né i drammaturghi
né i critici si sentono controllati dagli spettatori, ossia
responsabili di fronte a loro. E allora di fronte a chi?
Questo è il problema. L'un verso l'altro? Ben poco.
(Nicola Chiaromonte)

Dobbiamo riflettere sulle priorità: non si organizzano
feste da ballo in case che crollano.
(Tommaso Montanari)


Quest’articolo non può che contenere una riflessione parziale essendosi svolto solo in parte il Napoli Teatro Festival Italia: pensato da Franco Dragone come “un laboratorio creativo culturale permanente” il Festival prevede infatti – stando alle parole del suo direttore – nell’ordine:

Una marionetta muore, una marionetta nasce

Nel primo teatro di Samuel Beckett – quello con il quale siamo più abituati a confrontarci – l'esistenza di una coppia è il punto di partenza immancabile. Vladimiro ed Estragone e Pozzo e Lucky in Aspettando Godot; Hamm e Clov (e Nagg e Nell) in Finale di partita; Winnie e Willie in Giorni felici; Krapp e il se stesso di ieri ne L'ultimo nastro.

Pensieri, all'ombra del 58° Parallelo Nord

Per quanto il Napoli Teatro Festival Italia presenti i due giorni con altrettanti titoli – Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa e Corcovado – va scritto subito che si tratta di un progetto unico – 58° Parallelo Nord – basato, leggo dalla brochure, sulla “pratica dell'incontro e dello scambio” intesa come “motore principale della creazione”. In pratica: un performer – Lorenzo Glejeses –; una sequenza-base di alcuni minuti elaborata mesi prima con Michele Di Stefano di MK (“ricordo questa partitura, ripetuta sempre uguale anche nel ritmo, che immediatamente mi annoiò” afferma sorridendo Eugenio Barba sul palco di Galleria Toledo); il tentativo di modificarla live mostrando così metodi di (ri)composizione creativa e tutto ciò che la quotidianità del lavoro di sala generalmente comporta: fatica, sudore, incertezze ed equivoci, tentativi momentanei e improvvisi, suggestioni che nascono, vengono provate e scartate e poi variazioni, sottrazione o aggiunta di materiali, un nuovo modo di dire la stessa frase, una maniera diversa di compiere la stessa azione. Insomma: a Galleria Toledo dovrebbe apparire ciò che, generalmente, agli spettatori è negato e nascosto: il prima di uno spettacolo, l'informe di cui il personaggio che avanza in palcoscenico non è che l'ultima forma acquisita.

Sindaco e teatro. Dove eravamo rimasti?

Dal 3 al 5 aprile 2013 si svolgono, presso il convento di San Domenico Maggiore, le Giornate per la Cultura, volute dall’assessore Antonella Di Nocera: “Occorre fare rete” – cito il report dell’evento – “generando un momento di elaborazione sulle prassi” utili al contesto napoletano. Parole d’ordine: “umiltà”, ovvero capacità d’ascolto anche nei confronti delle “personalità critiche con l’amministrazione comunale”; “sinergia”, perché è necessario “trovare un terreno comune di proposta e di azione per tentare di uscire da un momento difficile reagendo come farebbe una vera comunità”; “piccoli passi”, perché l’azione sia progressiva e concreta, in opposizione alla logica dei Grandi Eventi e capace di “individuare il possibile – quello che si può fare – nell’ambito dell’impossibile: quello che si pensa di voler fare”. Premessa: l’esistenza di “una situazione finanziaria senza precedenti in cui si è venuto a trovare il Comune di Napoli con l’adesione al cosiddetto pre-dissesto, laddove dal bilancio non vi sono fondi di spesa possibili per la Cultura”. Il Comune vuole dunque fare un carico di idee per poi attuarle (possibilmente a costo zero), secondo un progetto di politica dal basso che coniughi uno degli slogan più cari a de Magistris: “La Cultura è un bene comune”.

NTFI: chiedere è un dovere, rispondere anche

Sopporto, da giorni, una sorta di sentimento d’offesa, un senso di risentimento che non passa. Si tratta di orgoglio ferito in quanto cittadino? O è forse soltanto una mia fissazione, una preoccupazione stupidamente personale, un pensiero pensato troppo spesso?

Else, un'attrice e il suo pubblico

Una premessa. Dando un’occhiata alle note di regia presenti in brochure leggo che in Signorina Else – opera di “straordinaria attualità” – “si respira l’angoscia insanabile della nostra epoca, condannata all’immobilità dalla troppa coscienza del passato e travolta dalla paura che la rende incapace di prendere qualsiasi decisione”. Come la società europea tra le due guerre (Schnitzler scrive il romanzo nel 1924) saremmo al cospetto di un “recente e fantasmagorico boom economico che ha consentito a tutti di rivedere al rialzo le proprie aspettative e che adesso chiede ai giovani un conto salato” mentre la nostra Europa “sprofonda ogni anno di più”, divorata dalla “speculazione finanziaria” e dalla “crisi dei valori”. Ma è davvero questa l’opera che racconta lo stato di sospensione della generazione di mezzo (i nati tra la seconda metà degli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta)?

John e Joe: due attori, due uomini

"Generalmente i critici pensano che la grande e
vera recitazione è quando l'attore rende conscio
il pubblico del fatto che sta recitando. In realtà
meno il pubblico si accorge che stai recitando e
più è grande la tua recitazione".
 (John Ford)

 

 

 

In John & Joe c'è un momento in cui termina la certezza che stai assistendo a uno spettacolo, seduto nella platea di un teatro, e ti scopri assuefatto all'idea che non hai di fronte che due uomini, seduti al tavolino di un bar. Questo momento non è calcolabile con nessun orologio (d'altronde non staresti di certo a controllare l'ora precisa in cui avviene) né sembra dovuto alla strategia del regista, alla trama dell'autrice, alla particolarità della scenografia o alla comodità della poltrona: semplicemente accade, con la stessa naturalezza con la quale senti il calore dell'acqua che – ad un certo punto – ti cinge tutto il corpo quando ti immergi lentamente in una vasca.

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