“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 31 December 2012 12:09

... E aspiette che chiòve...

Written by 

La (multi)sala Assoli accoglie il suo pubblico variopinto e blasonato per la trasposizione in napoletano di Plou a Barcelona di Pau Mirò. Scena articolata, eppure essenziale, in cui ogni dettaglio, ovviamente studiato nella sua apparente casualità, suggerisce già un odore, un suono, un’atmosfera. Sullo sfondo vetri riparati con lo scotch da pacchi, un piccolo frigorifero di modello antiquato, una tenda volgarmente colorata e intessuta di paillettes. In primo piano il letto, rosa con i cuscini di raso rosa fucsia, un comodino sgangherato, una poltrona sbilenca e rattoppata.

Lali e Carlo. Una coppia sbrindellata ma felice, a modo suo. Mi risuona in testa, ogni tanto, durante tutto lo spettacolo, “forse non lo sai ma pure questo è amore”, sarà l’effetto del titolo canoro...
Una puttana sgangherata e il suo compagno, un po’ lenone post-tossico, tenero a modo suo. Vestitini succinti, sottovesti di finta seta, autoreggenti strappate (ma tanto a lui piacciono lo stesso...), parrucca nera con caschetto alla Valentina e un’aria che ondeggia tra il malizioso e l’ingenuo. Lali (Chiara Baffi) imposta la voce quando legge le frasi dei cioccolatini, scandisce le parole e ripete la frase lentamente, facendone la parafrasi, commentandola, forse interiorizzandola. Andava con muratori e camionisti Lali, “steve semp’ tutt’ fatt’”, (sempre divertente il gioco di parole degli omofoni...) e, a dire di Carlo (Carmine Paternoster), era più felice. Ora invece, nel tempo presente dell’azione teatrale, ha cominciato a frequentare ambienti diversi, l’Università, il Museo e un libraio con la moglie terminale, però entrano in casa meno soldi e lei spesso non è felice e Carlo, una vita in tuta e ciabatte, seduto a mangiare e ad assistere da sotto al letto agli amplessi, si taglia più spesso con la lametta, che tiene sempre appesa al braccio con un elastico. Frequenta nuovi posti Lali, vuole essere o almeno sembrare normale. Vorrebbe fare altro Lali, forse essere altro e si affeziona al libraio, Davide (Enrico Ianniello), freddo e perverso nel suo abito da borghese. Perverso nella sua freddezza, nel suo accontentarsi di guardarla, recitare dei versi e accarezzarla. La vuole al funerale della moglie, le chiede di leggere qualcosa al funerale della moglie. La illude. Le dice che può fare altro nella vita, che può essere qualcosa di più e di meglio di una puttana sgangherata. La penetra intellettualmente, con L’isola del tesoro infilata tra le cosce, ma la giudica. È solo un inganno. L’inganno della cultura, delle belle parole. In realtà vuole solo assicurarsi una lavorante a novecento euro lordi al mese, servizi compresi (ma grazie alla magistrale contrattazione di Carlo diventano mille netti).
Carlo: “forse non lo sai ma pure questo è amore”. Ogni tanto pulisce la casa e sotto il letto, quando lei lavora, si nasconde per tenerle compagnia, a modo suo. Sembrano condividere poco i due. Un amore nato al Mc Donald (lei conserva ancora, dopo sette anni, la bustina di senape con la data dell’incontro) e scandito dal cibo: il cheeseburger, la pizza, la graffa, l’hot dog e i cioccolatini, che lui divora per conservarle i bigliettini con le frasi.
Davide sembra darle e offrirle di più, sembra stregarne l’anima con i suoi versi e le frasi ad effetto. Natura contro cultura? No, forse non necessariamente. Ma forse natura contro cultura arida, cultura come arma vile, vacuo intellettualismo paternalistico. È rabbioso e disperato l’urlo di Carlo, da animale ferito, che si sente privato del necessario: “chell’ che sta scritt’ int’a sti carte nun tene niente a che vedè c’a vit’ e tutte 'e juorne!”.
Carlo, che sembra vivere allo stadio del bruto, con le sue ciabatte e la coca-cola sorbita rumorosamente con la cannuccia, alla fine è pieno di tenerezza per lei, non immagina la sua vita senza di lei. E anche Lali vuole stare con lui, accetta la proposta di lavoro in libreria, ma vuole che i suoi due uomini vadano d’accordo e non vuole lasciare la sua squallida casa in affitto. E così i due si ritrovano nella stanzetta a parlare, una banale e surreale conversazione sul tempo. Minaccia il temporale e loro aspettano Lali, che ha dimenticato l’ombrello, un po’ sbilenco e approssimativo anch’esso. E alla fine lei arriva, sgangherata, gioiosa e vitale. Mette un po’ di musica, naturalmente neomelodica, e si siede sul letto con Carlo, patetici e teneri, ma più veri di Davide, meschino intellettuale in poltrona.

 

 

 

 

Chiòve
di
Pau Mirò
traduzione di Enrico Ianniello
con Chiara Baffi, Enrico Ianniello, Carmine Paternoster
spazio e regia Francesco Saponaro
luci Lucio Sabatino
suono Daghi Rondanini
costumi Roberta Nicodemo
scene Roberto Crea
foto di scena Fabio Esposito
produzione Teatri Uniti, Teatro Festival Italia, O.T.C. SempreAperto Teatro Garibaldi
in collaborazione con Institut Ramon Llull
lingua Italiano
durata 1h
Napoli, Sala Assoli, 29 dicembre 2012
in scena 29-30 dicembre 2012, 5-6 gennaio 2013

 

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook