“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 04 April 2013 10:37

Antoine Volodine: "Scrittori" e Potere

Written by 

Antoine Volodine è uno scrittore francese di famiglia di origini russe nato il 1949 o il 1950. Solo che Volodine è uno degli eteronimi dell’autore, gli altri tre conosciuti sono Elli Kronauer, Manuela Draeger e Lutz Bassmann. Totale quattro, come fu per Pessoa. Ma magari ne sono di più e non lo sappiamo. E per fortuna che c’è Beckett a toglierci di imbarazzo: “che importa chi parla, qualcuno ha detto, che importa chi parla”.

Lo cita Michel Foucault in una conferenza (Collège de France, 22 febbraio 1969), Che cos’è un autore? (Scritti letterari, p. 3), in cui discute l’eclissi dell’autore e a tal proposito, riferendosi proprio alle parole del drammaturgo irlandese, dice che “è in questa indifferenza, penso, che bisogna riconoscere uno dei principi etici fondamentali della scrittura contemporanea”, intendendo il principio etico come prassi. A Volodine o chi per lui è stato chiesto, ovviamente, il perché di tanti nomi, e lui o uno di lui, Volodine, che non è solo lui, ha risposto che gli interessa demolire l’idea romantica dell’autore padrone del mondo; ma questa è una risposta data da uno degli eteronimi, non è “la” risposta. Uno di questi eteronomi ha scritto molta fantascienza, e allora mi sovviene l’“interpretazione a molti mondi” della meccanica quantistica e in particolare la tesi di Hugh Everett III secondo la quale esisterebbero universi molteplici poiché l’universo/mondo tenderebbe a suddividersi con tutti i suoi componenti, osservatore incluso, aumentando le proprie copie. E così Volodine, Kronauer, Draeger, Bassmann e altri non sarebbero che copie di uno. Questa non è la verità, ma mi piacerebbe lo fosse, e poi che importa la verità?
Detto ciò, ora ci occupiamo di Antoine Volodine, cioè di uno dei tanti di uno, e in particolare di Scrittori (2010, edizione italiana Clichy 2013).
Volodine dice che Scrittori è un romanzo, io invece dico che è una raccolta di sette racconti legati tra loro ma al contempo anche indipendenti. Gli scrittori non sono eroi romantici, individui straordinari e di successo, ma sono accomunati da una serie di tratti deprimenti: fallimento, malattia, carcere, silenzio, emarginazione, morte. Essi rientrano in un genere particolare (così come il suo autore, Volodine, e gli altri eteronimi), il post-esotismo, “una letteratura partita dall’altrove e diretta verso l’altrove, una letteratura straniera che accoglie molteplici tendenze e correnti, di cui la maggior parte rifiuta l’avanguardismo sterile” (Le post-exotisme en dix leçons, leçon onze, Gallimard, 1998, citato da Andrea Inglese su Nazione Indiana, 6 aprile 2009). Lucia Emilia Stipari riassume perfettamente sia il genere post-esotico sia la scrittura di Volodine:
“I narratori del post-esotismo sopravvivono al margine di una società chiusa e ostile, sostenitori di un’utopia egualitaria estremista, generosa, sempre sconfitta, alla quale segue la disfatta fisica e morale, la prigione, l’oblio, la morte. Spesso i protagonisti dei loro libri sono anch’essi scrittori: all’interno del romanzo compongono un ulteriore romanzo, trasmettono il corpus sovversivo e clandestino delle loro opere, discutono criticamente, inventano nuovi generi letterari. Conducono in questo modo un oscuro combattimento contro la realtà, attraverso la tensione del prendere la parola […]. Le parole che i narratori pronunciano o affidano alla carta generano una sorta di ponte verso universi onirici finalmente abitabili: rappresentano dunque un rifugio, costituiscono una tecnica di sopravvivenza. Ed è proprio attraverso questa fuga dalla realtà nella costruzione intellettuale – letteraria o ideologica – che la realtà stessa viene svelata nel suo essere laida e manipolata” (Satisfiction #7, 4 giugno 2009).
Non che Volodine si prendesse sul serio quando negli anni Novanta iniziò a parlare di post-esotismo, ma lo scontro con il Potere, – o con i poteri, come direbbe Foucault smascherandone la struttura reticolare –, è centrale in questo strano libro; un cupo senso della fine, un certo afflato apocalittico, predominano e lo scrittore, figura almeno potenzialmente eversiva in quanto possessore della parola (ricordiamo il rapporto tra discorsi e poteri in Foucault) costituisce l’emblema dell’impossibilità di opporsi alla deriva:
“'La loro parola risuonava in uno spazio in cui i vivi si facevano sempre più rari' dice a fatica. 'Così e solo così deve essere recepita la letteratura post-esotica: come un’ultima testimonianza inutile e immaginaria, pronunciata da individui allo stremo delle forze o dai morti e per i morti. La nostra parola'.
Passa qualche secondo.
'Naturalmente' riattacca, 'la nostra parola non pretende di avere una qualche utilità nella concreta lotta egualitaria che bisognerebbe combattere, fuori di prigione, per liberare dal meccanismo della miseria i cinque o sei miliardi di persone che vi sono immerse. Ciò che le azioni militari non hanno neppure scalfito non potrà certo essere minacciato o infranto da qualche parola scritta. Lo sappiamo. Non ci facciamo illusioni in proposito'” (pp. 36-7).
A questo punto si devono far risuonare le parole di Gabriele Frasca, che sembrano scritte appositamente per l’opera di Volodine pur essendo scritte per quella di Philip K. Dick:
“[…] l’autore, fuoriuscito come un singolare storiografo dall’ultima fase dell’età della carta, quella che nel privilegio audiovisivo connette il grigio bisbiglio delle biblioteche al variopinto chiacchiericcio delle riviste pulp, si presenterà nelle vesti di un trafelato messaggero, giunto da una paradossale corrosione dei tempi […] per parlarci di ‘strane memorie di morte’, e far dunque trapelare, nella presunta eternità di ogni consumatore mediale, l’elemento dissolutore, e la conseguente necessità di imparare a sopravvivere a quanto (non) ci sopravvive. È necessario si guardi indietro, argomenta, e si guardi ‘obliquo’, per ritrovare il luogo e il tempo da cui si propagò il guasto, quello che sempre rimette comunque in funzione la macchina” (La lettera che muore, p. 283).
Trovare il guasto in Volodine è arduo (a tal proposito basti la lettura dell’ultimo capitolo-racconto: Domani sarà stata una bella domenica). Scrittori pullula di fantasmi, lo spazio e il tempo sfumano in un futuro desolato degno del cinema di Tarkovskij, la fisicità lascia il posto all’evanescenza, sicché il lettore, cercando invano di tirare i fili di questo romanzo dalla ‘scrittura trasparente’, esperisce al contempo l’inafferrabilità del Potere: qui c’è anche la testimonianza glaciale di sconfitte molteplici ma non definitive, perché “la parola post-esotica si esaurirà quando sarà scomparso l’ultimo dei nostri scrittori, e nessuno in nessun luogo se ne accorgerà. Tuttavia, finché avremo un po’ di fiato in gola, rinnoveremo ancora e ancora la magia insensata di questa parola, ci inoltreremo nel linguaggio e diremo il mondo” (p. 37).
Inoltrarsi nel linguaggio e dire il mondo è un modo di incunearsi nel reticolo discorsi/poteri, tenendo presente quanto diceva Foucault: “in ogni società la produzione del discorso è insieme controllata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo numero di procedure che hanno la funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli, di padroneggiarne l’evento aleatorio, di schivarne la pesante, temibile materialità” (L’ordine del discorso e altri interventi, pp. 4-5).

 

 

 

Antoine Volodine
Scrittori
traduzione di Didier Contadini e Federica Di Lella
Edizioni Clichy, Firenze, 2013
pp. 192

 

Antoine Volodine
Le post-exotisme en dix leçons, leçon onze
Gallimard, Paris, 1998
pp. 107

 

Michel Foucault
Scritti letterari
traduzione e cura di Cesare Milanese
Feltrinelli, Milano, 2004
pp. 162

 

Michel Foucault
L’ordine del discorso e altri interventi
traduzioni di Alessandro Fontana, Mauro Bertani e Valeria Zini
Einaudi, Torino, 2004
pp. 98

 

Gabriele Frasca
La lettera che muore. La “Letteratura nel reticolo mediale”
Meltemi, Roma, 2005
pp. 360

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook