“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 18 March 2013 21:57

Bagliori estremi e microletteratura ai tempi del web 2.0

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La narrativa ai tempi dei social network si presterebbe alla brevità, alla miniatura. Giulio Ferroni, in Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero (Laterza, 2010), diceva “a me sembra che la forma 'breve' del racconto, guardato spesso con sospetto dagli editori, sia oggi la più adatta a toccare la frammentarietà e la pluralità dell’esperienza, a scavarne il senso con tensione linguistica ed espressiva”(p. 67), e mentre lo diceva e dopo averlo detto l’editoria proseguiva la sua caccia al romanzo, e la critica dibatteva sulla fine del romanzo, e gli scrittori erano abbastanza confusi, oppure semplicemente se ne fregavano.

Eppure Gabriele Frasca già da qualche anno ci aveva fatto un libro, sul rapporto tra media e letteratura, e basta leggerne un passo di questo libro, La lettera che muore. La “Letteratura nel reticolo mediale” (Meltemi, 2005), per capire che certe cose dovevamo capirle già prima, o almeno approfondirle già prima, e di sicuro aver trovato già prima la ‘forma narrativa giusta’ per l’iPod o per gli eReader e tutto il resto:
“[…] ogni mutamento dei supporti responsabili dello stoccaggio e della diffusione dell’informazione non genetica non solo riposiziona un insieme di media fra loro variamente interconnessi che modifica l’ambiente stesso vitale nel quale come specie siamo immersi, ma finisce a sua volta col determinare la variazione delle forme di ciò che viene supportato. Il ritmo formulaico, la performance vocale, la tavoletta di argilla, il volumen di papiro più o meno illustrato, il codex pergamenaceo, e poi quello cartaceo, o piuttosto il manoscritto miniato, la pagina a stampa, il mosaico del foglio di giornale, la voce elettrificata e proiettata a distanza e la schermata del computer, per limitarsi a taluni supporti (anche privi di ulteriori connessioni) del medium linguistico, consentono (anzi, pretendono) un uso estremamente diversificato del linguaggio, così come procedono a pratiche del tutto differenti di 'messa in testo', che chiedono, per 'viaggiare', l’ausilio di organi di senso diversi (o quanto meno una diversa gerarchizzazione di udito, vista e tatto)” (pp. 74-5).
Poi si giunge al 2012 e Anna Boccuti, curatrice dell’antologia Bagliori estremi. Microfinzioni argentine contemporanee (Arcoiris), sostiene l’indissolubilità del legame tra narrativa brevissima (le ‘microfinzioni’, in questo caso) e supporti elettronici e l’assenza di questa forma nei decenni precedenti (p. 8, nota 1). Le ‘microfinzioni’ sono “piccole feroci creature” (lo dice Ana María Shua), testi brevi inclassificabili, che sembrano consumarsi nel corto respiro di poche frasi o anche poche parole, come scintille. Senza parole (p. 150) di Diego Golombek, ad esempio:
“Venne il giorno in cui finirono le parole. Non accadde all’improvviso: il vocabolario si ridusse a poco a poco e la gente restava a bocca aperta, senza sapere che nome dare a una cosa o come chiamare qualcuno. Verso la fine, erano rimasti soltanto i gesti.
Eppure, c’era la sensazione che una parola ci fosse ancora. Una parola sola che tutti avevano sulla punta della lingua ma nessuno osava pronunciare per non sprecarla e poi ritrovarsi senza niente. Un giorno, un ragazzino che stava giocando per strada pensò a quella parola e la disse. Fu come se il mondo si fosse paralizzato del tutto: l’ultima parola era stata detta. Chi la sentì, scoprì che non era la stessa parola che ciascuno di loro aveva in mente e allora il mondo tornò a riempirsi di parole nuove, dette una alla volta, che si persero nel vento per sempre”.
E così, per dirla con Gaston Bachelard, “il minuscolo, porta stretta per eccellenza, apre un mondo” (La poetica dello spazio, 1957, edizione Dedalo, 1975, p. 178) perché “la miniatura è un esercizio di freschezza metafisica” (p. 184). Inevitabile il richiamo a Finzioni (1949) di Jorge Luis Borges, raccolta di racconti metafisici e metaletterari e tanto altro. La letteratura, in Borges, è gioco, esplorazione di possibilità molteplici, di infiniti mondi, espressione massima della Biblioteca/Universo così definita da Livio Santoro in Una fenomenologia dell’assenza. Studio su Borges (Arcoiris, 2011, p. 114):
“La Biblioteca (ovvero l’universo), prendendo a prestito il modello di Hermes Trismigisto, che ricalca a sua volta quello che già fu di Parmenide, non sarebbe allora altro che una versione parodica di quelle innumerevoli versioni sferico-ontologiche che appartengono alla letteratura di tutti i tempi”.
In Bagliori estremi – i cui autori sono: Eduardo Berti, Raúl Brasca, Patricia Calvelo, Rosalba Campra, Carlos Culleré, Martín Gardella, Mario Goloboff, Diego Golombek, David Lagmanovich, Marí Rosa Lojo, Eugenio Mandrini, Ana María Mopty, Valeria Ildiko Nassr, Juan Romagnoli, Orlando Romano, Norberto Luis Romero, Norah Scarpa Filsinger, Ana María Shua, Luisa Valenzuela, Fabián Vique – al centro della narrazione sono tematiche universali, tipiche di Borges tra l’altro, quali il tempo, la storia, il labirinto, lo specchio, la letteratura, le bestie, eccetera. Ma c’è anche l’Argentina, ovviamente, e la sua tradizione della quale così diceva lo scrittore, a sottolinearne l’atipicità e le potenzialità innovative, in una lezione tenuta nel Colegio Libre de Estudios Superiores:
“Credo che la nostra tradizione è tutta la cultura occidentale, e credo inoltre che abbiamo diritto a questa tradizione, e anche maggiore di quello che possano avere gli abitanti di una qualsiasi nazione occidentale. […] Credo che noi argentini, i sudamericani in generale, […] possiamo adoperare tutti i temi europei, adoperarli senza superstizioni, con un’irriverenza che può avere, e ha già, conseguenze fortunate”.
(Lo scrittore argentino e la tradizione, in J. L. Borges, Tutte le opere, volume primo, Mondadori, 2005, p. 419).
Tutto molto bello. Finché torni in Italia, tra le bestie di Federigo Tozzi, e leggi e stupisci perché è Tozzi e perché siamo a inizio Novecento e perché l’Argentina e l’Italia non sono mai così lontane, spesso così vicine:
“Chi non ricorda come si trascina una farfalla ferita, toccando la terra con le ali tremanti!
Ma chi può vedere, ne’ suoi occhi, l’espressione del suo dolore violento e improvviso?
La farfalla va presto a rincantucciarsi, sapendo sparire dalla nostra curiosità. È come qualche cosa, allora, che riesce a non aver contatto con noi, ad evitarci” (Bestie, Manni, 2001, p. 45).

 

 

 

AA.VV.
Bagliori estremi. Microfinzioni argentine contemporanee
Traduzione e cura di Anna Boccuti
Arcoiris, Salerno, 2012
pp. 184

 

Giulio Ferroni
Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero
Laterza, Bari, 2010
pp. 109

 

Gabriele Frasca
La lettera che muore. La “Letteratura nel reticolo mediale”
Meltemi, Roma, 2005
pp. 360

 

Gaston Bachelard
La poetica dello spazio (1957)
Traduzione di Ettore Catalano
Dedalo, Bari, 1975
pp. 277

 

Jorge Luis Borges
Tutte le opere - Volume primo
a cura di Domenico Porzio
Mondadori, I Meridiani, Milano, 2005
pp. 1302

 

Livio Santoro
Una fenomenologia dell'assenza. Studio su Borges
Arcoiris, Salerno, 2011
pp. 144

 

Federigo Tozzi
Bestie. Prose interpretate da Fernando Marchiori
Manni, Lecce, 2001
pp. 136

 

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