“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 26 November 2012 19:37

Sullo scivolamento e altri annegamenti

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Che il mondo, così come si presenta quando apriamo gli occhi in un mattino uggioso o di sole, sia soltanto una delle mie rappresentazioni, quella prediletta, quella rassicurante, quella che la nostra mente costruisce nella sua relazione con il reale, che la realtà quotidiana insomma sia questo è indubbio, ma (appunto) è soltanto una delle forme di rappresentazione, quella sulla quale si adatta la nostra burocratica azione sul mondo, quella da cui prende avvio ogni opaco discorso sull’esistente opaco in una opaca condivisione. Le sue forme proprie sono in un certo senso l’accettazione e lo sbadiglio.

Ma si tratta ovviamente e fortunatamente di una “costruzione”, come è stato appena detto, una delle possibili rappresentazioni che non esclude assolutamente la possibilità di forme altre di rappresentazione e, se vogliamo, di narrazione. Il linguaggio (di qualunque si tratti) ha sempre un potere performativo e mai soltanto descrittivo.

C’è in poche parole un’atavica contrapposizione tra una logica del metodo della conoscenza condivisa, fondata sul rigore della descrizione e sulla validità del ragionamento, e una logica della fantasia, fondata sul dominio della prescrizione e sullo scardinare le regole del gioco, la cui origine, mai come nel contemporaneo, non è mai individuale (non ce ne vogliano gli artisti – a noi la retorica del genio non è mai piaciuta), ma sempre pre-individuale e spesso trans-individuale. L’arte abita un dominio in cui il reale viene (ed è stato sempre) filtrato diversamente.

Ecco in poche parole qual è il progetto di Francesco Cervelli: la possibilità di giocare su una dimensione metapsichica (l’artista ci tiene a dirlo, sottolineando la differenza con una possibile metafisica), sullo scivolamento inconsapevole che la parola lapsus, nome scelto per la mostra, porta con sé in vista di una rappresentazione altra del reale che si impone anche soltanto per la forza stessa di ciò che racconta.

Il racconto che propone Francesco Cervelli certo non è lineare, non è immediato, è piuttosto un sussurro, una voce che si dispiega e si fa colore denso e intenso (eppure rigurgitante di significanza), un (ri)chiamare a una dimensione in cui la rappresentazione psichica gioca con i rovesciamenti, i suoi infiniti rovesciamenti, interpreta le solitudini, le opache e dense solitudini dell’assenza, manipola l’effettività (e l’efficacia) degli oggetti quotidiani, oggetti quotidiani che perdono la loro posizione nel mondo per ritrovarsi preda di vortici insensati (per loro, s’intende), prova a presentare stati d’animo che assomigliano al precipitare nel sogno o ai lavori linguistici di distruzione significativa delle leggi della sintassi, pur mantenendo il gusto estremo (e perverso) della rappresentazione significante.

E poi l’acqua. Sì! è proprio l’acqua a determinare la possibilità di questa uscita dalla rappresentazione quotidiana, l’acqua, l’elemento fluido che si contrappone naturalmente alla terra, e che, quando vuole, può distruggere la terra, e allora le tele di Cervelli hanno sempre una presenza costante dell’acqua che gioca il lavoro del riflesso, predispone l’affondamento in una dimensione altra, ricorda il ventre da cui proveniamo, il nulla acquoso che ci precede e ci eccede. L’assenza di ogni possibilità di Dio. E l’acqua fa il suo lavoro in queste tele a perfezione, gli ambienti in cui si svolgono le non-scene metapsichiche sono interni di abitazioni, caratterizzati da alte finestre e arcate cieche, quotidianità riplasmate che si rispecchiano nel fondo del pavimento, l’acqua è sempre una possibilità o almeno questo sembra comunicare a noi.

C’è però una piccola tela la cui funzione è di punctum per l’intera esposizione (almeno così a noi è sembrato). L’unica tela all’interno della quale l’acqua non ha la sua funzione nella trasparenza e nella limpidezza (immagini di purezza originaria o di fuga incolpevole dalla realtà), ma anzi si determina come in un meraviglioso immaginario sublime da romanticismo tedesco, acqua torbida e atra, inquietante e inspiegabile, all’interno della quale scivola lentamente (ma non completamente) un letto raccontato nella sua quotidianità.

Esposizione particolarmente efficace anche per il luogo in cui ha trovato vita. Si tratta di un nuovo spazio espositivo della Galleria Cellamare Internocinquantasei, caratterizzata da una volta a botte e che richiama l’immaginario di una caverna primordiale. Perché oramai si sa l’arte contemporanea lavora anche sugli spazi espositivi e l’esperienza si completa all’interno di uno spazio in cui opere d’arte, spettatori, pareti, pavimenti e soffitti concorrono alla costruzione di un’esperienza.

E così tornandocene a casa, con la mente incespicante nelle visioni metapsichiche e nell’ottimo vino gustato al vernissage, incrociamo i volti soliti e la solita realtà, tutta intera, così come si presenta alla nostra rappresentazione stanca. Ma non fa nulla! La com-presenza di mondi altri non può che essere uno sprone continuo. Anzi è (e deve essere) il principio primo, il postulato ineludibile di ogni partecipazione politica al mondo, a questo mondo da cambiare.

 

Lapsus

di Francesco Cervelli

Galleria Cellamare Internocinquantasei

Napoli, dal 15 novembre al 15 dicembre 2012

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