“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 18 November 2012 20:23

Ucciderò Roger Federer (parte 1)

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Parte da oggi la pubblicazione, con gusto tipicamente ottocentesco ma tonalità (ahinoi!) più che contemporanea, di un racconto a puntate. Si cercherà, nei limiti delle sempre incerte sorti umane, di proseguirne la pubblicazione a cadenza settimanale.

 

1. Una verità, finalmente!

Un mattino poco luminoso (di quelli come ricoperti da un coperchio) e con un’aria sporca di latte irrancidito e con un pungente odore di vecchio armadio di pesante legno tarlato, un mattino, anzi quel mattino, in realtà comune a Napoli nei giorni che anticipano l’autunno, in quei giorni in cui l’estate non vuole farsi cacciare via e resta sospesa nell’aria con la sua umidità estenuante, il piccolo signor F aveva appena letto una strana notizia su Repubblica.it e sembrava incuriosito se non addirittura turbato.

Pochi sanno quanto si vantasse il piccolo signor F della sua capacità di informarsi sempre e incessantemente su tutto e ancora meno persone sanno quanto amasse quel momento che era solito definire di “intima ascesa”. Si metteva infatti seduto proprio lì dinanzi al suo computer portatile, sulla sedia con imponenti ruote girevoli e cuscini di raso per rendere più comoda (ma anche più elegante) la permanenza, e poi il computer, di quelli che hanno sì un bellissimo aspetto ma che non costano tantissimo (insomma una spesa abbordabile da ogni piccolo o medio borghese), di quelli con i quali sembra che tu possa farci di tutto, che so addirittura lavorarci e fare soldi, tanti soldi, vendendo pubblicità, costruendo grafiche o inventando applicazioni per facebook o tablet integrati, ma in definitiva e perlopiù servono soltanto per andare un po’ a spasso su internet. Bisogna pur dire che il piccolo signor F aveva speso un bel po’ di soldi per acquistarlo (risparmi di alcuni lavoretti fallimentari degli ultimi tre anni) e che aveva una cura nell’utilizzazione che definire maniacale sarebbe limitativo: lavava continuamente le mani per non sporcarlo e/o ungerlo, lo spolverava a giorni alterni con un piccolo pennellino comprato appositamente, non lo teneva accesso mai per più di due ore perché necessitava di “riposo”, non permetteva a nessuno (e questa era la regola assolutamente improrogabile) di toccarlo o di accedervi. Tutto questo perché il piccolo signor F ripeteva spesso a se stesso e più raramente a chi aveva la voglia di ascoltarlo che non si può più vivere senza internet, perché quella sì! sarebbe la vera solitudine, e poi che è necessario leggere notizie qua e là, bisogna in poche parole sentirsi ed essere (non sapete quanta enfasi poneva il nostro eroe sulla parola “essere”) persone informate sui fatti, frequentare siti che fanno sentire integrati nel fluire delle cose della realtà, che permettono di assaporare pezzettini gustosi di mondo e di leccarli anche soltanto un po’ (e soltanto sulla superficie, ovviamente) ma con immensa voluttà teoretica lì dove hanno un minimo di sapore. Bisognerebbe insomma tutte le mattine trascorrere almeno mezz’ora sui vari siti a osservare qualche fotografia e qualche parola rubata da una visione di insieme della pagina internet che si impone nella sua interezza allo sguardo, leggere un po’ del titolo, qualche parola dell’occhiello, qualche sintagma dell’articolo, per poi infine sperare di aver colto qualcosa di significativo per l’agire nel mondo o che (addirittura) qualcosa di “vero” infine possa accadere.

In effetti la parola “vero” piaceva al piccolo signor F e ancor di più la parola “verità”, densa ma allo stesso tempo scivolante su una vibrante che giunge su quell’accento finale che succoso fa accumulare piccoli grumi di saliva nei lati della guancia, la parola “verità” faceva letteralmente impazzire il piccolo signor F che a volte a stento riusciva a trattenere un sorriso di piacere che non sembrasse di godimento puro ed eccessivo (quasi estenuante o sospirante) come insomma potrebbe accadere, se fosse possibile sorridere in quel momento, cioè poco prima di esplodere in un orgasmo desiderato da anni, e se quel momento non fosse invece solitamente intriso di saliva schiumosa di liberazione, poi quando gli sembrava di sentire o intuire o leggere o razionalizzare qualcosa di “vero” amava inarcare lievemente il sopracciglio sinistro ma in maniera tale che se qualcuno gli si fosse trovato dinanzi, seduto a parlare con lui (negli ultimi tempi della sua grama vita, cosa di certo non quotidiana), magari dinanzi a un caffè o ancor meglio a un the (erano anni che il caffè gli dava troppa gastrite), se ne sarebbe potuto accorgere ma poi sempre la stessa persona avrebbe probabilmente voltato di lì a poco lo sguardo, come risentito o piccato, perché il gesto in effetti appariva un po’ troppo macchinoso, costruito; c’era qualcosa in quell’inarcare che non era fluido, non era “naturale” (eppure se sapeste quanto tempo ci aveva messo per imparare a fare quella smorfia nella maniera più limpida e schietta!, quella smorfia che a suo dire gli conferiva un’aria allo stesso tempo intelligentemente interessata al divenire del mondo e malinconicamente ironica per la consapevolezza di “come” diviene il mondo), insomma inarcava il sopracciglio sinistro quando ascoltava da qualcuno qualcosa di “vero” o quando sentiva di avere intuito una “verità”, sensazione oltremodo rara nella situazione esistenziale e lavorativa del piccolo signor F, una cosa pressoché impossibile a dire il vero dato il nostro mondo. Nonostante ciò a lui quella parola piaceva fino in fondo, se la godeva per intero quella parola, in tutta la limpidezza del suo significante, nell’armonia del suo fluire, e sì che non era a tal punto ingenuo il piccolo signor F da non riconoscere che la verità non esiste o, qualora esistesse, etc. etc. e altre masturbazioni mentali tipiche di economisti e filosofi, il piccolo signor F invece avrebbe potuto scrivere un manuale di relativismo (almeno così diceva) se solo avesse avuto tempo, modo o voglia di rimettersi a studiare qualcosa per se stesso e non per gli altri (“quelli del sistema”, così, un po’ ingenuamente e facendo quasi tenerezza, chiamava “quelli che organizzano test” e poi ci sono i concorsi e poi ti fanno studiare robe inutili e poi ci sono le prove psico-attitudinali in cui devi essere rapido, scattante, performante, e poi forse puoi sperare in uno straccio di lavoro che, a partire dal mantenimento del saggio di sfruttamento, almeno ti permetta di camparla questa vitaccia, etc. etc.), ma gli piaceva ancor di più quando quella parola portava con sé qualcosa capace di far tremare le colonne imbottite di sabbia e residui di calcestruzzo del nostro “sistema” (il piccolo signor F nella calda gioventù, nel periodo dorato del liceo, era stato “comunista” o qualcosa del genere e in determinate circostanze, quando lo riteneva opportuno per condire di sintomatica originalità la sua persona, se ne vantava) e proprio per questo consultava prima repubblica.it perché lo considerava un dovere da “progressista”, poi corriere.it perché riteneva giusto confrontare le notizie tra i due quotidiani più venduti e più moderati (“più moderati proprio perché più venduti, più venduti proprio perché più moderati” – malignava ogni tanto il piccolo signor F che come potete notare non mancava totalmente di ingegno e ogni tanto la imbroccava quasi la battuta di spirito, arguta e “affilata”, anche se il più delle volte tutto ciò accadeva nella sua mente quando era più rilassato e meno “invaso” dal mondo esteriore, quando inscenava teatrini di persone e cose e possibili realtà virtuali e alternative tutte per lui, che ruotavano intorno a lui, in un mondo in cui lui non era soltanto il piccolo signor F, in cui lui, in parole povere, non era più lui).

Spesso si divertiva a contare quante notizie era in grado di ingoiare in una giornata (il suo stomaco era vasto) e – credetemi – ne erano veramente tantissime, non che poi il piccolo signor F approfondisse o cercasse di costruire una sua opinione necessariamente su tutto, sarebbe impossibile per qualsiasi essere umano gestire e metabolizzare un numero tale di informazioni con le rispettive problematizzazioni; spesso mentre disperatamente cercava di farsi la barba senza tagliuzzarsi la pelle secca e tesa del viso proprio nel punto in cui mascella e mandibola si incontrano e formano una sorta di grossa sporgenza tra il bordo esterno del viso e il collo, rifletteva su qualche notizia che lo aveva colpito o, come amava dire lui, lo aveva illuminato, la sua era una vera e propria seduzione per la luce e per l’illuminazione tanto è vero che a quanto si dice è stato proprio lui a curare l’impianto di luci della sua piccola ma dignitosa abitazione con risultati a dire il vero poco convincenti, come diceva qualche raro amico che lo andava a trovare di tanto in tanto. E “raro” era l’amico non tanto perché l’amicizia vera è rara come si suole dire a buona ragione, bensì “raro” proprio nel senso che il piccolo signor F ha sempre avuto pochi amici – cosa di cui si vantava spesso e volentieri – e quando gli amici sono pochi la probabilità che venga fuori quello che solitamente chiamiamo “vero amico” è ancora (appunto) più “rara”, ma amicizia o no il farsi la barba lui lo chiamava “il mio momento più intimo” e molti suoi “amici” infatti ridacchiavano, non dinanzi a lui sia ben chiaro o dinanzi a lui non in maniera eccessiva, ma era veramente “il suo momento più intimo” perché il piccolo signor F viveva e vive tutt’ora da solo, senza una compagna, una moglie, una fidanzata, ma neanche con un anziano genitore o una vecchia zia, niente!, il piccolo signor F viveva e vive tutt’ora da solo, non ha mai avuto neanche la voglia di prendersi un cane e quando la vecchia segretaria Melina, la segretaria dell’ufficio per il quale ha lavorato saltuariamente una volta che si era messo in testa di diventare “uno che lavora in ufficio” e una volta che era riuscito a trovare una “specie” di posto (si trattava del solito call-center outbound), gli faceva notare che forse una compagnia gli avrebbe fatto bene, che i cani sono capaci di riempirti le giornate e la loro gratuita gioia e il loro darsi completamente a te non possono che riempirti il cuore di sana e fresca voglia di vivere in maniera tale da affrontare con rinnovata forza le difficoltà della vita, lui che una sera si era trovato a masturbarsi proprio pensando a lei, a Melina, la grossa e insignificante segretaria, l’unica segretaria al mondo non scelta perché saziasse le voglie del solito padroncino di turno, ma nonostante ciò che possedeva qualcosa di gradevole, nel fondo di quel viso appena un po’ troppo pieno e come ricoperto da una patina leggera di sudore, lui che non poteva sopportare bestie e uomini, cieli stellati e leggi morali, aveva sbottato, mostrandosi in tutta la sua fiera, convinta e convincente debolezza.

Insomma in quel mattino poco luminoso e che sapeva di latte irrancidito e puzzava di vecchio armadio della casa dei nonni (era uno dei ricordi più vivi del nostro piccolo eroe), il piccolo signor F aveva letto questa notizia: “La trasferta asiatica per Roger Federer sembra non essere iniziata nel migliore dei modi. Tutto ha inizio il 25 settembre, quando su un sito sportivo, molto popolare in Cina, appare il commento di tale Blue Cat, il quale scrive: “il 6 ottobre ho intenzione di uccidere Roger Federer allo scopo di sterminare il tennis”. Il commento era accompagnato da una foto molto eloquente che ritraeva il numero 1 al mondo sdraiato per terra con la testa tagliata ed in ginocchio su di un campo da tennis, con un boia mascherato, vestito di nero e con tanto di ascia, in posa accanto a lui (“Blue Cat Polytheistic Religion Founder 107”, il suo nome esatto comparso su baidu.com)”.

Era uno di quei momenti di “verità” che il piccolo signor F attendeva oramai da tempo e se ne accorse soltanto quando, ripensandoci su e sforzandosi di ricordare il contenuto di quella notizia tra le centinaia che aveva ingoiato quella mattina, si tagliuzzò il viso proprio nel punto in cui mascella e mandibola si incontrano e formano una sorta di grossa sporgenza tra il bordo esterno del viso e il collo.

 

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