“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 14 November 2012 11:42

Dove osano le cicogne

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C’è una bentornata voglia di leggerezza nell’ultimo film di Silvio Soldini dopo il tono serio e riflessivo di Giorni e Nuvole e il grigiore di Cosa Voglio di Più, in cui la medietà del soggetto veniva coerentemente messa in scena con un’inusitata piattezza e pesantezza. Lontani sembravano i giorni del “miracolo” della ritrovata centralità del “nuovo” cinema italiano (che Soldini conosce bene essendone rappresentante dal lontano esordio dell’85 di Giulia in Ottobre) di inizio millennio, quando Pane e Tulipani  faceva ben sperare in una definitiva affermazione, almeno di pubblico, del nostro cinema “d’autore”. Con quest’ultimo lavoro, scritto insieme a  Doriana Leondeff e Marco Pettenello, Soldini sembra tornare alla freschezza e all’inventiva di quegli anni.

Merito di una favola metropolitana leggera e “aerea” dove i puri e gli onesti vengono premiati e i furbi giustamente beffati (almeno dal fato e dalla giustizia).
Valerio Mastandrea è un idraulico vedovo (dal riuscito accento napoletano) che vive a Torino con due figli adolescenti, Maddalena, vittima di una crudele gogna mediatica ad opera di un suo fidanzato, e Elia, che trova nella cicogna Agostina un’amica con cui comunicare. La moglie non riposa però in pace, e ogni notte ad un’ora precisa lo viene a trovare in cucina, vestita in bikini e pareo - così come aveva lasciato il nostro mondo a causa di un incidente occorsole al mare -  cercando di consigliare il marito nella difficile conduzione della casa. Seguiamo poi le vicissitudini di Diana, una quasi irriconoscibile Alba Rohrwacher con tanto di caschetto bruno e occhialoni alla Arisa in un ruolo che ne afferma definitivamente le potenzialità da commedia, pittrice senza soldi alle prese con il fitto da pagare a Amanzio, un eccentrico Giuseppe Battiston, che prende la vita con pacatezza e filosofia, curioso delle lingue del mondo e inascoltato dispensatore di consigli all’umanità indaffarata che lo circonda. Accade che i destini dell’idraulico e della pittrice si intreccino nello studio del losco avvocato Malaffano di Luca Zingaretti che accetta di difendere l’onore della figlia di Mastandrea (il quale in cambio deve fargli da prestanome per un suo intrallazzo), mentre commissiona alla giovane artista un affresco dal gusto decisamente kitsch.
Tutta questa umanità in affanno trova un nobile coro nelle statue dei nostri illustri progenitori che commentano, nel loro linguaggio vetusto, le storture cui assistono dall’alto dei loro piedistalli. E così tra Verdi e Leopardi un maestoso Garibaldi (il comandante del titolo) deve dialogare con la nuova statua di un moderno commendatore che ne ridimensiona la statura morale, riducendone gli eroici intenti a questioni di piccolo opportunismo politico, mostrando in ciò tutta l’ignoranza e l’arroganza dei nostri tempi.
Al di là del possibile intento moralistico di chi ci guarda dall’alto, gli interventi delle statue si introducono bene nel generale tono surreale di un film brioso e accattivante che si avvale di ariosi movimenti di macchina e di un montaggio lineare e dinamico.
Manca però un’adeguata conclusione in linea con la vivacità della storia e l’espediente della fuga sembra esser stato introdotto solo dalla necessità di imprimere una svolta narrativa per aggiungere quel po’di pathos che prelude alla riconciliazione dei personaggi e degli eventi, secondo le consuetudini del genere.

 

Il comandante e la cicogna
Regia Silvio Soldini
Con Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Claudia Gerini, Luca Zingaretti, Maria Paiato, Luca Dirodi
Produzione Italia, Svizzera, Francia
Anno 2012
Durata 108’

 

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