“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 23 January 2013 10:10

Crimp, non Pinter

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“Ogni scrittore appartiene, in definitiva e con ogni evidenza, a una società segreta, a una cospirazione formata da un solo membro: lui stesso”. Dovrebbe bastare questa frase di Pinter perché registi, critici e pubblico smettessero di cercare Pinter in autori che non sono Pinter. Ed invece...

Ed invece, con ogni evidenza, il gioco dell’associazione dei nomi, della genitorialità culturale presunta, della dipendenza di scrittura in scrittura produce commistioni forzate, abbagli d’analisi, convinzioni incrollabili destinate a rivelarsi fallaci alla prima apertura di sipario. Così Martin Crimp, tra “i più interessanti drammaturghi contemporanei” (formula letta e riletta ovunque: giornali cartacei, riviste online, foglio di accompagnamento allo spettacolo), è detto dalla stampa critica (britannica e, di rimando, italiana) il “nuovo Pinter”, “il nuovo Pinter” è atteso dal pubblico, “il nuovo Pinter” è messo in scena sul palco. Ma trattandosi di Crimp – e non di Pinter – ciò che ne segue è una modesta contraddizione teatrale: uno spettacolo che si vorrebbe fosse di Pinter con un testo che non ha nulla di pinteresque.
“Scrittori-icona come Pinter sono calamite pericolose: bisogna imparare a non farsene attrarre”. Dovrebbe bastare questa frase di Crimp – rubata a un’intervista tradotta – perché The Country fosse proposto come un’opera di Crimp e non come un’opera di Pinter. Ed invece...
Ed invece, con ogni evidenza, Roberto Andò forza e riforza l’interpretazione del testo cercando l’oscurità pinteriana, l’allusione pinteriana, la pinteriana propensione alla metafora in una drammaturgia che non ha oscurità, non ha allusione, non ha propensione alla metafora. Così The Country – che vorrebbe insidiare, minacciare e ferire le comode sicurezze degli spettatori come insidia, minaccia e ferisce il teatro di Pinter – finisce soltanto per insidiare, minacciare e ferire il testo di Crimp.
Due aspetti, la scena e il linguaggio, per rendere conto dell’equivoco voluto e prodotto.
La scena. Sovente gli ambienti di Pinter sono un accenno, un puro segno posto in ribalta per dare la dimensione d’interno. Ne La serra sappiamo di una finestra e di uno schedario. Nel Calapranzi di due letti appoggiati alla parete, di un calapranzi nel mezzo, di lato due porte. Ed anche quando le didascalie sono più articolate (ne Il compleanno, ad esempio, ne Il ritorno a casa o ne L’amante) ciò che conta davvero è la sensazione livida e insicura di un luogo-non-luogo, di un limbo, di un incerto posto in cui attendere o stare. Ciò consente a Pinter, solo per accennare ad un aspetto ulteriore, di proporre metateatralità ed interazione diretta e indiretta col pubblico.
La scena di The Country è resa cercando la stessa sensazione livida e insicura (sembra quasi una riproposizione degli ambienti previsti da Pinter in Vecchi tempi: “Una fattoria riadattata ad abitazione. Una finestra lunga, centro fondoscena. La porta della camera da letto, sinistra fondoscena. La comune, centro fondoscena. Arredata con mobili moderni di recupero. Due divani. Una poltrona. Autunno. Notte”) poiché ci troviamo – di notte – in un granaio riadattato ad abitazione, con una finestra lunga, centro fondoscena, e un arredamento di mobili moderni di recupero (sedie, un tavolo, mobiletti bassi negli angoli, una poltrona di pelle, lampade bianche da pavimento, uno stereo, due finestre nelle quinte laterali, a stento vedibili) e – tuttavia – l’effetto è contrario a quello desiderato: non si ha l’apertura incerta di Pinter (quell’apertura incerta che fa del luogo inscenato anche il luogo di una messinscena evidente) ma una chiusura a mandate, da vecchio teatro borghese: l’interno davvero è un interno, ha quattro pareti (compresa quella in trasparenza che separa il palco dalla platea) ed il pubblico è assente, costretto a spiare la commedia come si spia osservando, da un giardino, in una stanza. Perché è Crimp, non Pinter.
Il linguaggio. Antitesi, parallelismi, iterazioni, assonanze, allitterazioni, associazioni di parole e concetti, progressioni seriali, alternanze e fraintendimenti, intermittenze ma – soprattutto – silenzio: “È nel silenzio che, per me, i personaggi acquistano una maggiore presenza”. Così Pinter.
In The Country troviamo antitesi, parallelismi, iterazioni, assonanze, allitterazioni, associazioni di parole e concetti, progressioni seriali, alternanze e fraintendimenti, intermittenze ma un non attimo di silenzio. Non c’è silenzio tra battuta e battuta, tra frase e frase, tra parola e parola. Non c’è silenzio tra scena e scena, tra passaggio e passaggio, tra gesto e gesto. Non c’è silenzio neanche quando cala il buio totale: gli uccelli cinguettano, cade la pioggia, il telefono squilla, friniscono le cicale, il tuono… tuona (verrebbe da ripetere quanto, pare, abbia detto Cechov, sfinito dalle pause sonanti di Stanislavskij: “Sentite! Scriverò un nuovo lavoro e comincerà in questo modo: ‘Che meraviglia, che silenzio! Non si odono uccelli, né cani, né cuculi, né un gufo, né un usignolo, né un orologio, né sonagli, e nemmeno un grillo'."). Perché è Crimp, non Pinter e, per Crimp, pare evidente che i personaggi acquistino una maggiore presenza dialogando a ritmo serrato, scagliandosi addosso le lettere, investendosi reciprocamente coi fiati.
Ed infatti The Country, più che interessare per la trama nel suo contenuto d’inchiostro (lui, lei, l’altra; l’altra portata di notte in casa: perché? Le menzogne reciproche, la salvaguardia delle apparenze, la sibillina scomparsa di colei che produce l’impiccio, il matrimonio che prosegue, un occhio esterno che sa e presenzia, presenzia e minaccia, minaccia e controlla), interessa maggiormente per la geometrica struttura testuale, composta da quattro micro-atti contenuti in uno solo, in una verbosa e reciproca riproposizione del rapporto tra inquisitore e inquisito: lui e lei; lei e l’altra; lui e l’altra; lui e lei di nuovo, a sigillare – chiusa – la forma.
Occorreva indagare meglio questa malattia di relazione, in cui la famiglia è un carcere ma un carcere è pur sempre un accidente al sicuro nel quale si sopravvive parlandosi addosso, piuttosto che irrigidirsi a cercare di produrre mistero con un’opera che non può produrre mistero.
Così come non può produrre oscurità, allusione, propensione alla metafora; metateatralità e interazione diretta e indiretta col pubblico; silenzio. Perché è Crimp, non Pinter.

 

The Country
di Martin Crimp
traduzione Alessandra Serra
regia Roberto Andò
con Laura Morante, Gigio Alberti, Stefania Ugomari Di Blas
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Agata Cannizzaro
produzione Teatro Stabile dell'Umbria, Fondazione Brunello Cucinelli
in collaborazione con Nuovo Teatro
durata 1h 15'
Napoli, Teatro Bellini, 22 gennaio 2013
in scena dal 22 al 27 gennaio 2013

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