“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 22 January 2013 18:17

Di luogo in luogo, di memoria in memoria

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Tra “i ventricoli rossi” di Napoli, in treno a Firenze dopo essere stato a Genova, a Roma, Bologna. A Comasina, Bovisasca, Novate Milanese per sentir dire di Quarto Oggiaro, piazzale Corvetto, porta Vigentina, Sesto San Giovanni. Ancora a Napoli, quartiere Montesanto, rione Traiano, periferia di Gianturco poi nella Calabria più scura e omertosa, dove il cemento avanza a chilometri fino a toccare, con il proprio grigio, anche il mare. Di nuovo a Napoli, di nuovo a Firenze, coi ricordi anche a Palermo e Torino mentre è a piedi, passo dopo passo, che da Soccavo giunge a Pianura, da Pianura a Quarto, da Quarto a Pozzuoli.

E ancora: in un piccolo appartamento per immigrati, fatiscente e scrostato; in un ufficio sindacale, tra i volumi di storia e gli album di Tex; nel retro di una sezione politica, ad osservare un tesoro in legname. In un’azienda, a passeggio tra selciato ed erbacce, fuori dai cancelli operai. Tra i fumi bassi di nebbia e sotto splendide giornate assolate; davanti a un caffè che riscalda o nell’umido di una bottega silente; nel passato presente a ricordi ed in un presente che ricorda il passato. Parlando con Umberto dell’importanza della cultura scientifica; con Maria dell’assegnazione di un appartamento; con Marco, Sandro e Silvio di mobilitazioni, cortei, di assemblee. Parlando con Ilario dei “Circoli del Proletariato”, con Maurizio di catene di montaggio, con Giuseppe di lotta alla ‘ndrangheta.
Di luogo in luogo, di persona in persona, di memoria in memoria: L’officina del mondo di Gianluca Vitiello è la traccia d’inchiostro del dolce e ostinato andare e tornare, tornare e riandare del suo autore. Storia percepita per storie, racconta il suo corso raccontando le distanze, gli incontri oltre le distanze, i ricordi dopo gli incontri.
“Il treno procedeva lento verso Firenze, non più di cinquanta chilometri all’ora. Spesso si fermava per lunghe pause in piena campagna. Non si scorgevano luci tranne quelle dei rari paesini che attraversava. Le lampade fioche, all’interno del convoglio, creavano un’atmosfera un po’ intima e un po’ malinconica. I vagoni erano di quelli vecchi, con le poltroncine tappezzate di vellutino rosso stinto e le tendine consunte”.
Oppure: “Conobbi le tante città nascoste dentro Napoli. C’erano case che, per arrivarci, era necessario attraversare lunghissimi e intricati corridoi, salire strette scale a chiocciola che si arrampicavano sui tetti, attraversare balconi di altre famiglie e solai. Si entrava in un portone e da lì si apriva un mondo invisibile e inaccessibile sull’esterno: lunghi cammini tra edifici diversi comunicanti, corpi di fabbrica ricavati in una rientranza, con ogni probabilità abusivi, piccole stanze sospese nel vuoto. E poi quelle improvvise bolle di silenzio e tranquillità sospese tra i tetti”. Ma anche: “Una ragazza bruna mi accompagnò nella sala dove erano state allestite tre postazioni internet e una biblioteca. C’erano anche alcune poltrone e un tavolino dove erano stati poggiati altri libri. Una finestra dava sul terrazzo. L’atmosfera era calda e accogliente, tanto che mi persi nella lettura delle ultime pagine di un romanzo che alcuni anni prima non avevo terminato”. 
Alla banchina, in una piazza, nel mezzo di una strada; al tavolino di un bar, in un centro sociale occupato, tra passanti affrettati dal tempo; al chiaro dei fari di auto che passano celeri, tra separè di tessuto in una stanza, alla presentazione di un libro: Gianluca Vitiello e, davanti a Gianluca Vitiello, un volto ed un fiato che fanno, della Storia, una storia: “La ricerca di nuovi spazi era diventata per noi una esigenza primaria. Formavamo però insiemi eterogenei e in più regnava uno spontaneismo esasperato che rendeva difficile qualunque tipo di definizione non solo di una linea politica comune, ma persino di una politica di gestione dei luoghi occupati. Per questo il confronto con i gruppi storici della sinistra extraparlamentare fu durissimo. Vi militavano a volte i nostri fratelli maggiori, ma non riuscimmo a comprenderci mai del tutto”.
Da un’altra pagina: “A volte le maestranze sabotavano la produzione solo per dare libero sfogo alla fantasia: utilizzavano una sorta di colino per far gocciolare del colore sulle scocche, prima che entrassero nel forno, e il tettuccio delle vetture veniva trasformato in un dipinto astratto”.
Da un’altra pagina ancora: “Ormai sono trascorsi anni dal tempo del DAMM. Ho incontrato tanta gente che ha vissuto i centri sociali e tutti mi hanno parlato di esperienze personali con una durata media di due, tre anni. Poi tutto finiva, nell’impossibilità di andare oltre una ripetizione di pratiche ormai divenute poco stimolanti. Ogni generazione prende parte a un ciclo e le successive devono quasi sempre ricominciare da zero”.
È attraverso questa umana frammentazione dei rammenti che L’officina del mondo riesce a rendere viva davvero la lunga stagione – ora torrida, ora glaciale – dell’opposizione sociale in Italia. È riportando la delusione di Carmine, la stanchezza di Salvatore, l’isolamento di Claudio, l’ostinazione di Leonardo, l’insistenza di Peppe, la convinzione di Fiorenzo, la fatica di Alessio, la prospettiva di Diego, le speranze di Valeria che Gianluca Vitiello riesce a cogliere, serbare, far maturare per poi rendere in un’offerta comune la delusione, la stanchezza, l’isolamento; l’ostinazione, l’insistenza, la convinzione e la fatica, la prospettiva, le speranze di chi – nel rifiuto di una strada imposta dagli altri – ha immaginato un’altra direzione socio-politica, culturale ed artistica, (im)possibile: “e i cortei venivano trasformati in un lungo dibattito itinerante. Gli argomenti passavano talvolta di bocca in bocca tra gruppi di persone lungo il serpentone umano e tornavano indietro con nuovi spunti di confronto”.
Lucido saggio dotato del calore che appartiene al romanzo, L’officina del mondo rivela, quasi inconsapevolmente, le proprie ragioni nell’ultimo capitolo scritto, in cui leggiamo “Tutti i miei passi avanti sono scaturiti da incontri fortunati e spesso fortuiti” e ancora leggiamo: “Ho imparato a pensare che la differenza la facciano le persone. Sono loro a contare veramente”; “Basta andare in giro, non fermarsi alla superficie, per vederle”; "Oggi la ragione mi dice che sarebbe meglio allontanarsi da Napoli, da questo posto senza prospettive. Eppure, quando attraverso strade e vicoli della mia città, sento ancora l’eco delle voci dei tanti che hanno lottato per un futuro diverso”.
L’orizzonte è lontano, silenzioso e beffardo. Largo staglia il suo sguardo, calmo e senza rimedio. L’orizzonte è lontano, forse irraggiungibile.
Nel mentre, vicino e d'intorno, rumoreggia L’officina del mondo: “eco delle voci dei tanti che hanno lottato per un futuro diverso”.

 

 

Gianluca Vitiello
L'officina del mondo
prefazione di Silvio Perrella
Spartaco Edizioni, Napoli, 2012
pp. 191

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